La fede

Ci sono molte discordanze e imprecisioni su cosa è la fede e come definirla, magari che essa sia un dono di Dio: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».(Gv 4.10). Ma il dono di Dio, quello che Gesù annuncia alla samaritana non è la fede ma l’acqua e lo spirito di vita eterna. Eppure nella nostra cultura religiosa si pensa alla fede come donata da Dio, perché così ci è stato insegnato.
Questa parola, fede, associata quasi per analogia al verbo credere, evoca un assenso della ragione e della intelligenza umana a qualche verità o dottrina o insegnamento del magistero, dettati dall’autorità religiosa di cui sono investite le istituzioni ecclesiastiche.  La fede è definibile come l’adesione a un messaggio o un annuncio fondata sull’accettazione di una realtà invisibile, la quale non risulta cioè immediatamente evidente, e viene quindi accolta come vera nonostante l’oscurità che l’avvolge. La fede consiste pertanto nel «ritenere possibile» quel che ancora non si è sperimentato o non si conosce personalmente.

Possiamo aggiungere, che ogni fede religiosa è la risposta umana a una rivelazione divina.
Questa rivelazione in cui Dio mostra il suo progetto per l’umanità è inscritta nella storia dell’uomo, e pertanto va soggetta ad una riformulazione e riscrittura umana di cui alcuni si fanno carico ( profeti, messia, illuminati, sacerdoti).
Tra questi la chiesa cattolica. Chiesa cattolica fatta da uomini con la loro cultura, sensibilità, intelligenza, che nonostante sforzi, e il loro sincero amore per la religione professata, spesso hanno costruito una zavorra che  deforma la rivelazione di Dio all’uomo, Dio che è amore, e fa sì che questa deformazione giunga al destinatario che non coglierà più la forma originaria. Se la rivelazione colta dall’uomo è quella di un Dio onnipotente e giustiziere si avrà allora una risposta di fede che annulla le potenzialità dell’uomo, il quale risponderà e agirà come un essere impotente e sottomesso alla volontà di Dio, impoverendo così la sua pienezza umana di fronte a un Dio siffatto. Sarà in altre parole onorato e adorato un Dio che assorbe le energie umane invece di fortificarle per essere impiegate per il bene e la giustizia.
Se la risposta è ad una rivelazione di un Dio amore-creatore, allora la fede spingerà l’uomo alla lode e al ringraziamento, e tale fede si esplicherà in un totale abbandono fiducioso al Dio che come tale si rivela. E ciò che ne conseguirà sarà una fede in questo Dio che si fonderà  nell’amore del prossimo.
Per i cristiani la rivelazione di Dio è manifestata e  si realizza in Gesù, il quale mostra sia l’amore verso Dio, in totale atteggiamento di fiducia nel Padre, «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». ( Lc 23,46),  sia verso il prossimo, con un atteggiamento di misericordia verso l’uomo: ” Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati»(Mt 9,2),  che viene accolto nella sua totalità dall’abbraccio di Gesù. Una duplice realtà che fa di Gesù modello di Messia e Salvatore. Quindi se diciamo che la fede è dono di Dio escludiamo dalla salvezza tutti coloro che nel passato prima di Gesù non lo hanno conosciuto o che non lo conoscono tutt’ora.
Ciò equivale a proporre un Dio che discrimina e sceglie arbitrariamente chi salvare e chi dannare, se è vero come si pensa abitualmente che lui ci dà il dono della fede, senza la quale è impossibile credere e salvarsi.
Una figura di Dio che non è imparziale, ingiusta, che non ama tutto il genere umano, ma alcuni eletti.
Invece la fede cristiana è un atto profondamente umano, che risponde all’invito di Gesù, è un atto libero, che non viene dall’alto né è prestabilito, è perciò rende possibile il rapporto tra Dio e gli uomini a tutti, anche se non si conosce Gesù.
Quindi mentre prima della venuta di Gesù di Nazareth il rapporto con Dio era basato sulla legge e mediato dalla religione, con un Dio che assorbiva tutte le potenzialità umane, con la fede indichiamo la risposta umana all’amore che gratuitamente viene da Dio.
E questa risposta non può che essere una fiducia incondizionata al Padre che sappiamo ci sorregge in ogni  momento della nostra esistenza, che ci arricchisce e ci rafforza nutrendoci con un amore infinito, affinché noi si faccia lo stesso verso gli altri.
Bisogna rendere razionale il sistema e l’impianto teologico della nostra fede. Dato per certo che  la fede è una esperienza personale profonda e intima, che non deve  rispondere a nessun sistema filosofico o teologico, ma solo al sentire del cuore, al sentimento di fiducia col quale ci abbandoniamo a qualcuno che ci supera e ci sovrasta e del quale avvertiamo la grandezza e il bisogno.
Però quando si comincia a parlare di fede mettendo al centro la propria cultura e quello che più o meno consapevolmente abbiamo imparato fin da piccoli, si commette un piccolo errore procedurale. La fede non si cerca in qualche luogo ritenuto sacro,  non si riceve da apparizioni o santoni, non si studia su testi teologici o altro,  solamente la si possiede gratuitamente,  e con essa ci si abbandona con fiducia all’oggetto della fede. Se non abbiamo fiducia e sicurezza in questo oggetto,  la fede ci porta al nulla. Ora la sicurezza di avere fede in Dio, che è inconoscibile e indefinibile, non può avere dei punti di partenza qualsiasi: o lo si cerca e si comincia a definirlo da qualcosa di interno a se stessi, o da qualcosa di esterno, o da entrambi.
Se cerchiamo Dio in noi questo non può che essere l’aspirazione sommamente etica che fa sì che i peggiori istinti insiti nell’uomo possano mutarsi nelle migliori aspirazioni anche etiche, e Dio diventa il sommo bene, il bello, la giustizia  nella vita: Dio è sommo Bene e sommo Essere e le creature sono buone in quanto create a sua immagine e somiglianza (secondo la dottrina scolastica medioevale).
 Se cerchiamo fuori di noi, Dio non può che esistere nell’altro, nella relazione o inter-esse che noi instauriamo tra esseri umani alla ricerca del bene comune. Se riuscissimo a conciliare entrambe le cose avremmo allora quel genere di persone che la chiesa dovrebbe alzare alla venerazione degli altari invece di proclamare beati  chi viene accreditato di miracoli discutibili e non persone credibili.
Quando la fede si deve adattare alla religione a cui credere allora subentrano altre situazioni che cercano di piegare la volontà fideistica alle dottrine della religione e ai suoi dogmi. Ma mentre la fede è atto libero della volontà, credere diventa sottomissione al volere imposto da altri, che si accreditano intermediari tra l’uomo e Dio. A me lascia sconcertato come qualcuno possa pensare di essere cristiano, credente e per giunta cattolico (che significa universale) e poi dice e pensa e agisce secondo criteri da ” appartenente ad un club esclusivo” , dove per entrarvi a far parte bisogna presentare una tessera di buona condotta e di purità che solo i farisei al tempo di Gesù ritenevano possibile per accedere al tempio: …  va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro» (Mc 1 44).
Ora poiché Gesù è venuto ad abolire i recinti della religione: ” Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv10,11-18). i confini delle nazioni e delle limitazioni legalistiche di puro e impuro: Niente di ciò che entra nell’uomo dall’esterno può farlo diventare impuro” (Mt 7,15), non capisco perché se le puttane e i pubblicani ci precedono nel regno dei cieli: “Gesù a loro: «Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio” (Mt 21,31), tale non può essere per gli omosessuali. Solo perché Paolo o Agostino hanno scritto qualche cosa contro l’omosessualità? Allora non è più una comunità che accoglie quella istituita da Gesù, ma una chiesa che esclude. E avere fede in un Dio onorato da una comunità che esclude e non accoglie, come il Padre accoglie il figliolo che ha dilapidato le ricchezze, significa non aver capito il messaggio annunciato e creduto da quella stessa fede.
La fede è un atto libero della volontà personale  e risponde alla coscienza di ognuno. Possiamo dire che mentre la religione è quella manifestazione di atti, riti e liturgie che gli uomini mettono in opera per onorare Dio, la fede è invece tutto ciò che gli uomini mettono in opera   per accogliere l’amore di Dio. Poi diventa anche fede da professare e adesione alla dottrina e risponde alla comunità a cui si appartiene, in questo caso alla chiesa cattolica. Ma essa non deve imporre ciò che ognuno di noi non ritiene accettabile di fronte alla propria intelligenza e alla propria coscienza. La teologia cattolica impone di credere alla Resurrezione presentandolo come avvenimento storico. Ma essa non ha niente di storico, solo le apparizioni e la tomba vuota sono le uniche prove indirette e narrate che abbiamo della storicità di un evento che se fosse tale perderebbe il suo carattere universale e valido per tutti. Credere alla Resurrezione è una esperienza di fede che certo non era sconosciuta ai primi discepoli, tanto è vero che certe incongruenze temporali dopo la morte di Gesù che si incontrano nelle narrazioni del vangelo, hanno più un significato teologico che di cronaca. Cosi si spiega come Gesù, comparso alle donne: “E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10 Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli”(Lc 24,9-10),
invita i suoi a fare esperienza della Resurrezione sul monte di Galilea, a 300 km da Gerusalemme, che altro non è che il monte ove egli aveva proclamato le Beatitudini: “Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» 8Mt 28,8). E cosa sono le Beatitudini se non la nuova legge lasciataci da Gesù, fondata sull’amore? “34 Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. 35 Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Solo agendo secondo quei comandamenti dell’amore delle otto beatitudini del vangelo di Matteo, la comunità farà esperienza del Gesù risorto ( Mt 5,1-7).
Così la stessa cosa può essere citata per Emmaus con il gesto dello spezzare il pane: “30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista”(Lc 24,30). Ogni volta che ripetiamo il gesto, non il rituale, e quindi conformiamo la nostra vita a quella di Gesù facendoci pane spezzato per gli altri, noi facciamo rivivere il risorto in mezzo a noi. Quindi non è Gesù che si rende riconoscibile a chi vuole lui come premio e garanzia di fedeltà, così come l’eucarestia che non deve essere esclusiva di alcuni meritevoli, discriminando altri escludendoli dalla mensa, ma è la fede in Gesù che lo rende visibile e vivente nella sua comunità e come tale deve essere accessibile a tutti, specie i più deboli e peccatori. Quanto a me personalmente non mi cambia nulla se questo è un fatto storico o meno, a me interessa la sua Parola, che è Parola di vita eterna e come tale capace di superare la morte. Dovrebbe valere per tutti la dichiarazione di fede di Simon-Pietro: “Signore da chi andremo? solo tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,69), che dovrebbe sostituire a mio avviso quell’ingombrante mea culpa recitato prima di accedere all’eucarestia: Signore non sono degno……Si risorge giorno dopo giorno accanto alla Parola del Signore, beati coloro che l’ascoltano e la mettono in pratica, essi vedranno Dio.
“Sono costretto a confessare che io credo, non già a causa dei miracoli che mi sono proposti, bensì a dispetto dei miracoli che mi si propongono. E sono sicuro che questa è la situazione inconfessata di una massa di cristiani”. (Theilard De Chardin, La mia fede, scritti teologici, Queriniana Editore). Faccio mia la riflessione dello scienziato gesuita e la lascio a quanti credono in Gesù perché operò “miracoli”, e non per la sua azione liberatrice di chi seppe farsi pienamente umano lottando contro tutti i poteri che rendono l’uomo schiavo e servo: potere politico, economico, religioso, divino. Il vero miracolo sarebbe riconoscere finalmente all’Amore la forza generatrice vitale essenziale del funzionamento dell’universo, amore che promana da Dio e che deve essere accolto dagli uomini in grado di trasformare una vita “sfinita, delusa, omologata, spenta”, in energia rigenerante e attiva, capace di vincere ogni volontà di potenza e realizzare la relazione armoniosa riconoscendo l’altro da noi, dotato di uguale dignità e libertà e non usato per i nostri fini. Un unico destino attende l’umanità, ed è la piena dignità dei figli di Dio, liberi da noi stessi e dai bisogni.
La fede come dono gratuito trova la sua naturale levatrice dal nostro venire all’essere, quando veniamo curati e nutriti dalle mani amorevoli di una mamma, cresciuti e protetti dalla presenza dei genitori che in quei momenti della nostra crescita rappresentano tutta la sicurezza possibile, dalla quale ci sentiamo al riparo anche dal crollo del mondo attorno a noi. In questo modo si sviluppa la fede, intesa come fiducia di fondo nella vita. Poi crescendo ci si accorge che questo non basta, e di fronte ai grandi enigmi della vita, la fede necessita di una crescita e di una maturazione che ci fa prendere coscienza del nostro posto nel mondo, non nati per dominarlo, ma per farne parte e conoscerlo a fondo. Ci vediamo immersi cosi nell’universo e nel tutto armonioso, il cosmo, del quale facciamo parte e che appieno comprenderemo quando tutto ciò che ci compone materialmente sarà sparito, e rimarrà solo lo Spirito. Dice Theilard de Chardin:  “Non posso concepire un’evoluzione verso lo Spirito che non sfoci in una Somma Personalità. Da qui la terza acquisizione: l’immortalità personale, che per la monade umana significa fondersi nell’Universo ed essere super personalizzata. A questo punto si fermano e culminano gli sviluppi individuali della mia fede, un punto dove rimarrei ancorato, dovessi pure perdere fiducia in ogni religione rivelata.. Ciò che prima era un’intuizione confusa nell’unità dell’Universo, è diventato il sentimento ragionato e definito di una Presenza. Qui inizia la fede religiosa. Credo che il Personale Supremo sia il Cristo Universale”.
Nella sua infinita bontà e amore Dio pensò la creatura umana, e con la forza creatrice della sua Parola lo chiamò all’esistenza. La prima vocazione dell’uomo avviene per amore. Quando l’uomo prese coscienza di essere creatura, nella sua necessitata finitezza ebbe invece la grandezza di pensare Dio e lo fece parte della sua vita. Da allora l’immagine di Dio fu fatta a somiglianza dell’uomo, ma l’essenza di Dio, la vita e l’amore per la vita, è ciò che ci anima e ci rende simili al Sommo Fattore.
Il Dio in cui credo è quello che ci fa conoscere Gesù, un Dio esclusivamente buono, né onnipotente né giudice; la religione che voglio vivere non è quella dei meriti, che non tutti possiamo avere, ma la religione del bisogno che è presente in tutti. Il Cristianesimo che io conosco non vive di dogmi, altrimenti sarebbe già morto con Bruno e Galilei, piuttosto è voce viva del Cristo risorto che la sua comunità continuamente fa presente agli altri praticando un amore simile al suo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. (Gv 15,12)
Egli non ha istituito alcuna forma di potere se non una comunità, ecclesia, alla quale non ha dato altra esortazione che rispettare e vivere le Beatitudini e considerare come unica condizione per farne parte quella di imparare a perdonare il proprio fratello. «Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; 16 ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. ( Mt 18,15-17).
Legare il perdono sulla terra o scioglierlo significa dare l’opportunità al perdono di Dio, che già l’ha concesso da padre compassionevole prima che glielo chiedessimo, di diventare effettivo e operante nei nostri confronti nel momento in cui lo concediamo ai fratelli: “Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”. Mt15,18).. Credo che il regno si realizzi su questa terra facendoci somiglianti al Padre nell’amore, un padre che tutti ama senza nessuna preclusione di merito alcuno. Tale regno è vicino a noi ogni qual volta riusciamo a promuovere crescita umana e riscatto dalla miseria e sofferenza del prossimo; non ha niente a che vedere con una Parusia che è lontana da venire, ma una rivelazione prossima solo che noi riuscissimo a rendere e tramutare in opere gli insegnamenti ricevuti dal Vangelo. La fede che sento di professare è dialogica, raziocinante, poggiata sul principio di autenticità delle cose proclamate nel vangelo, non sul principio di autorità che richiedono solo cieca e muta obbedienza a dogmi e precetti.. Infine credo che il potere concesso a Pietro consista nella responsabilità di pascere e sorvegliare le pecore a lui affidategli da Gesù di Nazaret, non di sottometterle al rispetto di dogmi o di concetti teologici o morali che sviano dalla realtà del messaggio di Cristo. Il potere indica sempre dominio delle coscienze degli uomini, categoria che Gesù chiamò “satana” e “principe di questo mondo”.
Carlo Molari- dice:
“…C’è un progetto nella natura, ma non c’è un progettista, perché il progetto si costruisce casualmente, attraverso tentativi spesso infruttuosi. Dobbiamo accettare questo orizzonte culturale. L’azione di Dio non può essere accolta compiutamente in un istante dalla creatura in processo, ma solo a frammenti nella successione del tempo. Per questo il male e l’imperfezione accompagna il cammino umano finché “Dio non sarà tutto in tutti” (1 Cor. 15,28). Nei processi della creazione e della storia ci sono anche situazioni insensate. La sfida che oggi come credenti dobbiamo accogliere è quella di saper affrontare la sfida della casualità e del nonsenso. La spiritualità in questi casi, come vedremo, significa introdurre il senso che non c’è”…..
Cosa crediamo? Cosa vogliamo?
Io credo che la fede in Dio deve venire dopo aver fatto nostre alcune convinzioni che esulano dalla presenza o meno di Dio stesso, perché che ci sia o non ci sia la nostra vita procede secondo i canoni che noi scegliamo.
Allora a cosa leghiamo la fede in Dio?
Noi non abbiamo idea di cosa sia o non sia Dio, nessuno lo sa.
Quindi perché credere?
Per dare speranza di vita dopo la morte?
Per una idea di felicità dopo le passioni terrene?
Per vivere una eternità asettica e senza dolore e i mali che ci affliggono in questo mondo?
Io credo che tutto deve partire dalla vita che noi viviamo.
Quei desideri di divino su menzionati, felicità, immortalità, ecc ecc sarebbero poca cosa se rapportati ad un dio che ce li deve dare come premio di buona condotta.
E da questo si deve evincere che se la nostra vita è il dono più grande che abbiamo in qualche modo ricevuto, dall’essere o dal big bang, o da un dio benevolo, questa va garantita e migliorata.
In modo tale che possa assumere una identità forte che sopravviva alla morte, al ricordo che mai deve estinguersi, e lo possiamo fare in un modo semplice.
Siamo stati al mondo per creare vita, creiamola sempre più ricca e fertile affinché da essa possa fiorire nuova e buona vita sempre più feconda e ricca, benevola e all’insegna della giustizia e della bellezza.
Tutte cose che per chi crede in Gesù le trova già belle e pronte, ma non penso sia impossibile trovarle in altre spiritualità.
Poi facciamoci tutte le religioni e i culti del divino che vogliamo, ma la sostanza quella è: bisogna amare e curare la nostra vita e le forme in cui essa si presenta, solo così si fa opera gradita al creatore.
E solo così posiamo essere utili al nostro prossimo e curare il giardino del mondo che ci è stato affidato in custodia.
“La fede come atto di credere è personale. La fede come dottrina è ascolto di una tradizione e di una comunità, ma sempre secondo la personale persuasione interiore, anche quando è differente in qualcosa dalla comunità di appartenenza. Per esempio sull’inferno, sul peccato originale, sui sacramenti, ognuno crede a quanto lo persuade in “coscienza”, più che all’insegnamento ufficiale. Ricevo, ringrazio, sono discepolo grato, ma la risposta profonda devo darla solo alla coscienza e all’intelligenza (a ciò che posso accogliere), alla persuasione non all’autorità”. (Enrico Peyretti),
/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.