La Domenica delle Palme e il grande equivoco

Teologia popolana

Gesù entra a Gerusalemme, ma la sua entrata non è una marcia trionfale.

La sua missione non è: Gerusalemme libera o morte, perché sa che lo attende un amaro destino.

Cosciente di questo, si appresta a portare a termine l’ultimo atto della sua vicenda che lo ha visto fin dall’inizio estremo oppositore di un regime religioso e politico che opprime e sfrutta un popolo, che non è né libero, né cosciente di quel che accade. Le masse plaudenti sono pericolosissime, specie quando sono pronte a sottomettersi stendendoti tappeti e mantelli dove tu passi, mettendo la schiena dove tu cammini.

Basta un niente da quella posizione di trionfo ad essere sbalzato nella polvere.

Ecco perché Gesù è riluttante a accettare quella accoglienza, e lo fa suo malgrado.

Egli sa e conosce il cuore volubile degli uomini, specie coloro che aspettano il loro liberatore e non sono capaci e non hanno il coraggio di liberarsi da se stessi, spezzare le catene del giogo che li opprime.

Non deluderli mai queste masse anonime, questo popolo che ignora da sempre il grande potere che detiene.

Se solo prendesse coscienza di essere potere esso stesso, di avere nelle loro stesse mani la forza e la capacità di essere liberi e scevri da servitù, in quel momento l’umanità farebbe un grande balzo in avanti sulla strada della completa emancipazione. Invece è dura: è dura per tutti.

Per Gesù che da solo porta avanti la sua impari battaglia per la libertà di tutti, ed è dura per quella massa speranzosa e presto disillusa che lo precede e lo segue nella città della morte. Nessuno è detto che lo accompagna, di quella folla anonima nessuno accompagna Gesù, che significherebbe condividerne progetto e sorte.

No, lo seguono come Leader, lo precedono loro stessi leader, che vogliono imporre la loro idea di liberazione a questo loro presunto Messia davidico.

E dall’altare alla polvere, dalla gloria all’ignominia della tortura il passo è breve, troppo breve per consentire alternative.

Il popolo è schiavo del potere, sempre lo è stato dei più forti che lo detengono, non può accettare di essere libero, perché le cipolle della schiavitù dell’Egitto sono più gustose della sabbia del deserto della libertà.

I sommi sacerdoti sono più convincenti delle parole e dei segni operati da Gesù.

Il popolo, simile alla gallina di Stalin, che dopo essere stata spennata e dolente per le penne perdute, sanguinante e barcollante, corre dietro al suo torturatore che va lasciando per la via chicchi di granoturco che lei becca penosamente.

Ecco cosa è il popolo: una gallina da spennare che si accontenta del becchime che cade dalla mano del potente di turno.

Alla fine sarà la croce, ma in quella croce non muore solo un uomo, ma la stessa idea di libertà che da sempre noi stessi inchiodiamo e uccidiamo, incapaci come siamo di redimerci dalla schiavitù del potere.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.