Il due dicembre 1985 sostenni l’ultimo esame all’università, Clinica Chirurgica, con un luminare del campo della chirurgia a Palermo. Avevo fatto un brillante pre- esame col suo vice, mi aveva pure complimentato come succedeva spesso prima di affrontare il cattedratico. Che chissà per quale motivo mi facevano sentire sempre così piccolo e ignorante, e io affondato nella ammirazione e nella timidezza nei confronti del professorone di turno, spesso mi bloccavo e non rendevo come avrei dovuto.
Quella volta successe lo stesso, superato però i primi momenti di iniziale stordimento, andai alla grande su un argomento che ancora oggi ricordo con piacere e che affronto coi miei pazienti in maniera brillante: insufficienza venosa arti inferiori e tromboflebiti.
Il prof però era di altro avviso, sembrava quasi volesse rispettare la media che io mi portavo appresso e a conclusione dell’interrogatorio, tale definisco il mio esame, mi fece una domanda da rischiatutto, una di quelle da lascia o raddoppia.
Alla quale non avrei potuto rispondere manco se avessi avuto Google sottomano tanto era difficile il nome dello scienziato che aveva dato il suo nome a una patologia particolare della tiroide.
In conclusione, 24 e prosit. Tanto dopo venti giorni avevo l’esame di laurea, e chi se ne fregava più della media?