Tre aspetti di Dio

TRE ASPETTI DI DIO APPARSI ATTRAVERSO GESÙ di don Carlo Molari

Il Dio della vita.

Gesù ha detto che “per Lui (cioè per Dio) tutti vivono”: Dio non è Colui che tutto ha creato, ma è Colui per il quale tutti vivono. Paolo (At 17,28) riprende questa idea: “In lui ci muoviamo, esistiamo e siamo”. Gesù stesso (Gv 10,10) dice: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in pienezza”. Pienezza vuol dire in tutte le situazioni esserci totalmente, essere totalmente pieni. Però la pienezza di un giorno non basta al giorno dopo, perché siamo in processo. Ogni giorno dobbiamo aprirci a una forza nuova di vita che fino al giorno prima non potevamo accogliere.

Su questo punto c’è un equivoco: Dio non è il Dio della vita perché è intervenuto affinché cominciasse la vita. La vita è cominciata perché l’energia creatrice è talmente forte che attraverso gli elementi stessi della natura è riuscita via via a formare realtà più complesse. È la natura stessa che ha dato origine alla vita. Invece Dio è il Dio della vita perché continuamente alimenta la vita, per cui può far fiorire in noi qualità nuove. Una delle ragioni fondamentali della speranza è che la presenza di Dio creante non sia ancora stata “sfruttata” pienamente. Non abbiamo avuto il tempo necessario: è da poco tempo che siamo sulla terra e riusciamo a camminare nella vita soltanto a piccoli passi. Attualmente è in atto un passaggio importante della specie umana, per cui dovremmo essere in attesa ansiosa di ciò che può fiorire attraverso gli uomini, attraverso i nostri rapporti, attraverso l’intensità delle nostre relazioni, attraverso la convergenza di diverse culture e religioni. Quindi non dobbiamo cadere nel pessimismo perché gli stessi progetti possono fiorire nella mente umana proprio per la presenza della forza creatrice che contiene già qualità che ancora non possiamo neppure immaginare. Io credo che dobbiamo alimentare questa speranza, perché vivendola diffondiamo attorno a noi questa possibilità. Perché se non c’è nessuno che attende la vita, essa non può esprimersi: noi possiamo rendere possibile il futuro proprio perché lo attendiamo, senza sapere che cosa ci attende, ma sapendo che la vita in gioco è tale che può esprimersi con sorprese straordinarie per noi, ma in realtà già presenti nel processo che stiamo vivendo. Questo vuol dire credere nel Dio della vita: credere nell’esistenza di una fonte grande, ricca, profonda.

Il Dio della misericordia.

Questo tratto specifico della rivelazione di Gesù era presente già nella tradizione profetica, ma Gesù l’ha assunto e l’ha portato a traguardi estremi. Matteo dice: “Misericordia io voglio e non sacrificio”. Già Geremia, parlando della nuova alleanza, aveva detto: “Perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò più dei loro peccati”. Dire che Dio è misericordia vuol dire che ci investe di una forza di vita, di un amore, proprio in rapporto al vuoto che noi abbiamo prodotto col peccato, col male, con l’insufficienza, con l’inadeguatezza. Per cui si potrebbe dire che l’amore di Dio può esprimersi in maniera più ampia quando c’è maggiore vuoto, perché c’è maggiore accoglienza. In questo senso il peccatore è in grado di accogliere l’amore di Dio, di percepirlo in modo molto più vivo e più intenso. Questa è stata l’esperienza di Gesù: Gesù veniva scoperto, accolto, ascoltato molto più dai peccatori che dai farisei e dagli scribi, che caso mai andavano ad ascoltarlo per contestarlo. Questi peccatori, questi piccoli, questi emarginati sono riusciti a introdurre nella storia ciò che gli altri attendevano da tempo e non hanno riconosciuto. È un fatto che dà da pensare: i buoni, i pii non sono riusciti a riconoscerlo e ad accoglierlo. E può darsi che noi siamo in questa condizione: apparteniamo a strutture sacre, frequentiamo la Chiesa, abbiamo momenti di preghiera, ma proprio per questo motivo è possibile che ci troviamo in aridità spirituale, incapaci di accogliere l’azione di Dio, di riconoscerla, di giungere a quella carica che consente di diffondere la forza della vita attorno a noi. “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”. È la misericordia che ci rende figli: noi cresciamo come figli nella misura in cui siamo in grado di esprimere misericordia, cioè di avvolgere di amore coloro che si trovano nel male e che fanno il male. Questo punto per noi è difficile, perché noi ci riteniamo capaci di giudicare e di condannare: in tante situazioni quotidiane mettiamo in circolo dinamiche negative quando incontriamo persone che fanno il male. Arrabbiarci, inveire vuol dire lasciarsi sommergere dal male e amplificarlo. Altro è fare una denuncia che abbia una carica d’amore, una volontà di bene, altro è farla con una volontà di disprezzo, di condanna, di emarginazione. È molto delicato questo passaggio, perché noi ci riteniamo in dovere di essere aggressivi nei confronti di chi fa il male, ci riteniamo in dovere perché il male è da condannare. Ma nella prospettiva della misericordia di Dio il male è da redimere: Dio non condanna, non punisce, redime amando: “Perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò più del loro peccato”. C’è una espressione di Christian Senzerre che mette in chiaro la difficoltà che noi abbiamo di amare quando l’amore sembra infecondo (“a che serve?”), perché dopo veniamo emarginati. Occorre aver fatto l’esperienza del perdono, per scoprire la capacità e la forza di perdonare. Davanti alle tre croci della Pasqua, chi non si è chiesto: ‘dato che Egli ha la stessa sorte dei ladroni, a che cosa gli è servito amare?’”. Però di fronte al vuoto della tomba, di fronte alla storia che è nata da quella tomba vuota, appare a che cosa sia servito amare.

Passando attraverso quel vuoto, quel nulla, quell’insensatezza delle tre croci innalzate, in cui i ladroni e il giusto erano allo stesso livello, la storia registra i frutti di quell’amore che ha seminato la forza di vita. E se noi ancora oggi siamo qui, se ancora oggi ci raduniamo nel suo nome, è perché quell’amore è stato così fecondo che ha attraversato i millenni e ancora ci tocca. Noi invece vorremmo che subito, di fronte al male, ci fosse il successo del nostro amore, che di fronte alla violenza già il nostro amore diventasse il cambiamento profondo della società. Siamo incapaci di morire, siamo incapaci di vedere il fallimento, perché non crediamo nell’amore. Cioè non crediamo in Dio. Crediamo ancora nelle nostre capacità operative, nei soldi che abbiamo, nelle nostre industrie, nei nostri progetti di giustizia, ma non crediamo in Dio, non crediamo nella potenza dell’amore, nella forza della misericordia. Così le nostre dimensioni spirituali, la nostra capacità di amare a cosa serve se non ottengono nulla, se la storia continua come prima? Vedrai a cosa servono: vivi, abbandonati.

Il Dio della resurrezione

Il Dio della resurrezione non vuol dire il Dio che ha preso il corpo di Gesù e l’ha portato altrove. Non sappiamo. Io credo che l’amore che Gesù ha esercitato sulla croce, amando in una situazione di violenza, di odio, di emarginazione, di abbandono, è stato di una potenza tale che qualcosa di diverso doveva accadere. Se questo è avvenuto, quel tipo di amore non poteva finire con un grido angoscioso, come dice Marco, un grido inarticolato. La conseguenza importante per noi è che, come dice Paolo, “se lo Spirito di Colui che ha resuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Il Dio dello Spirito in cui crediamo ha quell’energia potente per cui anche noi possiamo crescere nella dimensione spirituale e diventare figli. In questa prospettiva la resurrezione non è un miracolo, è il quotidiano. Siamo chiamati a diventare spirito. Se realmente siamo chiamati a diventare figli, come afferma la terminologia di Giovanni: “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente”, e come conferma Paolo (Rm. 8,14): “coloro che sono figli di Dio sono condotti dallo spirito”, allora noi ci troviamo di fronte a una responsabilità enorme, perché questo passaggio dalla materia allo spirito non avviene in modo deterministico, solo con il passare del tempo: non è invecchiando che si sviluppano le dimensioni spirituali della persona. La dimensione spirituale deve essere curata, accolta, seguita. Se questa è la nostra condizione la domanda che ci siamo posti sull’immagine di Dio diventa un’altra: qual è l’atteggiamento da sviluppare perché quella forza di vita in noi possa fiorire nella dimensione spirituale? Non è “quale immagine di Dio abbiamo?”, ma “quale rapporto con Dio viviamo, così da diventare figli del Dio della vita, del Dio della misericordia, del Dio della resurrezione? Se questo è vero, il silenzio e la preghiera hanno un grande valore per noi. Ci consente di metterci in sintonia con quella forza di vita che in noi diventa parola di misericordia, parola di vita, parola di resurrezione. Dovremmo avere nella giornata e nell’orizzonte costante della nostra vita, la ricerca di questa sintonia, il sapere che in gioco, al profondo nella nostra realtà. (Carlo Molari)

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.