Non si può restare indifferenti, fermi a guardare l’orrore e insensibili al dolore. Quei corpi dispersi, quei cadaveri recuperati e straziati dalle acque di una mare tombale, quei piccoli esangui tra le braccia pietose di chi li raccoglie dalle onde, ci chiamano e ci dicono “Caino, dove è tuo fratello”? E la risposta non si fa attendere da parte di tutti noi: “Sono forse io il custode di mio fratello”? Certo, ognuno di noi è custode dell’altro, non c’è un custode celeste svolazzante che ci deve sorreggere nei momenti di difficoltà; c’è un altro essere umano che deve prendersi cura di me, e io di lui. Non siamo forse i custodi del giardino edenico che ci è stato assegnato e mai tolto, se non per rifarlo più bello e fertile, non ci ha affidato Dio la terra e gli esseri viventi da accudire, in quell’ intreccio meraviglioso che sarebbe la vita, se solo potesse svolgere la sua funzione, ordinando verso il bene e verso le relazioni armoniose, il suo divenire? Le sole possibilità che abbiamo di svolgere il nostro compito affidatoci come uomini, gli esseri pensanti per eccellenza e come tali responsabili del corretto svolgersi della nostra esistenza. I morti in mare al largo di Lampedusa, o della Libia, o di qualunque angolo di questo meraviglioso pianeta, e tutti i morti uccisi dall’indifferenza e dalla incapacità di agire di tutti sono imperdonabili e ricadono sotto la nostra responsabilità, nessuno escluso. Dio potrà pure concederci il suo perdono, ma quei fratelli innocenti non potranno più farlo e rendere cosi operativo e possibile il perdono divino su di noi. Ecco perché oggi non frequenterò la celebrazione eucaristica domenicale e non siederò alla mensa del Signore. Più che non esserne degno, non mi sento a posto con la mia coscienza, e neanche a questo punto capace di rendere bene l’idea di eucarestia. Quei morti pesano tanto, e parole come xenofobia, immigrati clandestini, extracomunitario, razzisti, porti chiusi e pugni duri non si sa bene con chi, sanno di beffa oltraggiosa per il dolore di una umanità ferita a morte profondamente, dal nostro agire spesso irrazionale e dettato dalla paura e dall’egoismo. Non certo da senso di umana fratellanza, quella che dovrebbe sempre farci schierare dalla parte di chi sta dall’altra parte delle nostre coste, senza “se e senza ma”.
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