LA GIUSTIZIA DIVINA

LA GIUSTIZIA DIVINA. UNA PAGINA DI CARLO MARIA MARTINI.

La giustizia divina e la giustizia umana non sono separabili tra loro. La prima, infatti esige la seconda come riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo, ma va oltre perché la giustizia divina raggiunge la sua interiore pienezza unicamente nell’amore.

Il giusto equilibrio tra giustizia e misericordia, tra legge e amore, va letto a partire dal primato dell’amore, e però deve comprendere il ruolo della legge.
È quindi spesso un equilibrio pratico, suggerito dallo Spirito, più che da una prospettiva ideologica.

La giustizia divina
Al concetto umano e filosofico di giustizia la Bibbia aggiunge un significato molto più grande, che è incluso nel concetto di «giustizia di Dio», qualità per la quale Dio è fedele all’alleanza con l’uomo.
Non solo Dio rispetta i nostri diritti, ma salva noi suoi alleati quando siamo ingiustamente oppressi, quando il suo popolo è ridotto in schiavitù.
Il Signore è giusto perché ristabilisce i diritti di coloro che gli sono alleati. Anzi – ed è qui che la giustizia divina dimostra la sua trascendenza rispetto alla giustizia umana – egli perdona e riabilita, ricostruisce cioè nella pienezza della dignità anche chi avesse offeso i diritti di Dio.
Mentre dunque la giustizia umana insegna a rispettare i diritti altrui, a restituire i diritti lesi, quella che viene da Dio e che Dio infonde nel nostro cuore, è più ampia, è salvifica, perdona il peccatore, lo fa ritornare giusto al di là del dovuto, e lo fa con amore e misericordia.

A imitazione di Dio
Nel Nuovo Testamento Gesù insiste su una giustizia che è più grande della giustizia legale o sociale.
«Se la vostra giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 5,20).
È una giustizia che si esprime nel perdono e nell’amore:
«Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano» (Matteo 5,44).
«Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta» (Matteo 6,33). A dire: accogliete con fede la stupenda notizia che Dio ci cerca nel suo Figlio con amore, facendoci una cosa sola nel Figlio e divinizzando tutta la nostra vita.
La giustizia del Regno è la qualità somma del cristiano perché consiste nel vivere secondo Dio. Una vita che si riferisce a Dio come regola dell’agire, come causa interiore e motore di ogni nostro agire.
La realtà ultima a cui tendere, i mores cristiani, la morale cristiana sta nell’imitazione di Dio e della sua giustizia.
Lo leggiamo, a esempio, chiaramente nel Discorso della montagna allorché Gesù, dopo aver portato diverse esemplificazioni di comportamenti del discepolo, conclude: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Matteo 5,48).

Superamento della giustizia umana
La giustizia umana ha una logica che da sola non potrà mai raggiungere la giustizia evangelica.
Essa trova il suo riferimento, la sua estrinsecazione nella legge.
Per giungere al Vangelo occorre superare la giustizia. Alla legge del diritto Gesù contrappone il porgere l’altra guancia, e questo sarà sempre scandalosamente parziale, spesso irritante.
Ma proprio perché vive del superamento della legge il Vangelo promuove una reale ed effettiva giustizia.
È quindi per fedeltà alla predicazione del Vangelo che la Chiesa deve sostenere un rigoroso discorso sulla legge e sulla giustizia. Il Vangelo è predicazione di una Parola che non è di questo mondo e che tale, sempre, deve rimanere. Lo potrà solo nella misura in cui, con altrettanta forza, viene pronunciata la parola di questo mondo.

Una misura più radicale della giustizia
Sappiamo per esperienza che nella risposta all’appello dell’altro, al bisogno dell’altro di ottenere il riconoscimento dei suoi diritti, c’è una misura ancora più radicale della giustizia.
Già nella cultura filosofica classica la giustizia cerca radici più profonde da cui attingere la pienezza del suo senso. Aristotele le rintraccia nell’amicizia o philia: «Sembra che persino le città siano tenute unite dall’amicizia, e i legislatori si preoccupano di essa ancor più della giustizia; (…) quando si è amici, non c’è bisogno per nulla di giustizia, mentre, anche essendo giusti, si ha bisogno. dell’amicizia, e il più alto punto della giustizia sembra appartenere alla natura dell’amicizia» (Etica Nicomachea, 11 55a).
Tuttavia la tensione all’altro che si ferma all’amicizia rischia di diventare selettiva e carica di sfumature esclusiviste. Nell’amicizia è sempre presente la tentazione di volere l’altro, almeno in parte, come identico a noi stessi.
Ci vuole qualcosa di più radicale, cioè la carità. Pur se il significato di questo termine si è svilito, carità viene dal greco charis e sta a indicare una dedizione totalmente libera e gratuita.
Nella carità l’amicizia si supera e si completa nella chiamata a dedicarsi incondizionatamente all’altro ritenuto importante per se stesso, non soltanto per noi, ripetendo in certo modo il movimento dell’amore assoluto.
Se la giustizia è opera difficile, a maggior ragione lo è la carità. Eppure essa è il tessuto
principale della comunità dei credenti in Cristo e della sua azione quotidiana; è il motivo fondamentale della presenza della Chiesa nel mondo e nella società; La Chiesa si fa immagine del Dio che annuncia facendosi promotrice di prossimità a tutti.

Caritas generis humani

Ci sono realtà che aspirano ad affermarsi sempre meglio nell’ordine umano: anzitutto la caritas generis humani di Cicerone, che riassume quanto nell’uomo c’è di grande, commendevole, nobile e viene identificata con la giustizia più autentica; la giustizia civile intesa come giustizia sociale, promozione del benessere generale; la pace sociale e politica; la concordia tra i popoli; la molteplicità delle alleanze umane, il cui insieme formerebbe l’unità dei popoli.

Caritas caelestis Jerusalem
Ci sono realtà escatologiche: la giustizia del Regno; la pace messianica o shalòm, cioè il dono definitivo promesso all’uomo, che abbraccia ogni realtà e la porta al suo compimento; l’Alleanza nel sangue di Cristo; la caritas celestis Jerusalem, che è l’amore definitivo per la totalità dei salvati, l’atteggiamento della perfetta giustizia del credente.
Dobbiamo renderci conto del rapporto, dell’inerenza mutua della caritas caelestis Jerusalem e della caritas generis humani, della giustizia del Regno e della giustizia civile, della pace messianica o shalòm e della pace sociale e politica, dell’Alleanza nel sangue di Cristo e delle alleanze che assicurano una convivenza pacifica e giusta.

Necessità della tensione contemplativa
Se il cristiano impegnato in politica non si riimmerge continuamente nella tensione contemplativa, inevitabilmente si perde nei meandri e nelle parcellizzazioni della giustizia civile, della giustizia sociale e della pace politica, della concordia delle alleanze, e arriverà ai compromessi, alla ricerca del potere per il potere. La tensione contemplativa riequilibra le vicende quotidiane, riscatta anche le affermazioni singole, gli errori, i compromessi particolari, perché tutto viene riportato al vaglio del Vangelo e rimesso in discussione.

Rapporti tra carità e giustizia
La comunità cristiana nel suo insieme e i credenti liberamente impegnati nell’edificazione della città terrena, secondo le modalità proprie dell’azione sociale e politica, si chiedono quali possono essere i rapporti tra la giustizia e la carità e quali stimoli la carità può offrire alla giustizia.
Infatti, sia la carità che la giustizia sono protese alla costruzione della convivenza umana e i loro orizzonti si toccano e si intrecciano, pur senza confondersi e senza coincidere.
A mio avviso la carità può stimolare la giustizia offrendo all’impegno politico – nel cui ambito la giustizia precisa le strategie del suo effettuarsi e recepisce i mezzi idonei alla sua traduzione concreta – una motivazione radicale, avvertita oggi con particolare urgenza. Oggi, proprio per reazione alle tendenze che rischiano di confinare l’agire politico in una logica chiusa e di autoriproduzione, si levano sempre più. insistenti, nel sentire comune, le richieste di un impegno pratico concepito e praticato come servizio.
La carità non deve stancarsi di dire alla politica impegnata per la giustizia che fine e motivazione del suo agire è la soddisfazione – mediante l’uso paziente e costante dei mezzi appropriati – del bisogno altrui, un bisogno che appartiene a una persona in carne e ossa, con un volto sofferente e in attesa di poter sperare e gioire.

Carità e istituzioni della giustizia
La carità assume nel suo orizzonte la piena valorizzazione delle istituzioni di cui la giustizia si è dotata con lotte e conquiste faticose.
Non solo invita a guardare in chiave di dedizione generosa l’adempimento delle normali incombenze istituzionali cui ciascuno è stato chiamato, ma mette in guardia dagli atteggiamenti di superficialità nell’uso delle tecniche e degli strumenti necessari al buon funzionamento e alla corretta organizzazione delle strutture.

L’irriducibile scarto
La carità è comunque un dono che va umilmente invocato e al quale deve aprirsi la nostra libertà, affinché si produca la conversione del cuore.
Perciò va gelosamente custodito anche il senso della differenza, cioè di uno scarto irriducibile tra la misura della giustizia cristiana che attinge la dimensione del perdono gratuito e la giustizia civile storicamente possibile.
La coscienza di tale scarto è garanzia di sano realismo politico e di fedeltà all’eccedenza, alla paradossalità della legge evangelica dell’amore incondizionato.

Un Dio fedele e misericordioso
Nella Bibbia Dio è presentato con la caratteristica dell’amore fedele e misericordioso:
«Il Signore passò davanti a Mosè proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione, il peccato”» (Esodo 34, 6-7a).
Dio, che ci è più Padre di nostro padre e più Madre di nostra madre, che ci ha tessuto nel grembo materno, fa della misericordia la realtà che ci contiene, dall’alto e dal basso, dall’oriente e dall’occidente.
Nella sua misericordia noi siamo ciò che siamo e la nostra stessa miseria diventa il recipiente su cui si riversa il suo amore ricco di misericordia.
Gesù per primo ha voluto imitare il Padre cercando in tutta la sua vita i perduti, i lontani, riprendendo continuamente il dialogo, non togliendo mai la fiducia a nessuno. Gesù si fa modello supremo di misericordia soprattutto sulla croce.
Pesanti come pietre, acute come frecce
Le parole forti e sconvolgenti di Gesù sulla non violenza, sul perdono, sulla misericordia, sulla remissione delle colpe e dei debiti – «Non resistete al male non giudicate e non sarete giudicati… perdonate e vi sarà perdonato…» -, sono per il cristiano pesanti come pietre e acute come frecce. Da sempre il discepolo di Cristo le porta nella sua carne e si sforza di viverle nella quotidianità.
Talora rimane smarrito accorgendosi come non sembri possibile costruire su di esse un sistema giuridico giusto, una vita associata che scoraggi il male e difenda i buoni.
Ma le parole di Gesù e, in genere, della Bibbia non fanno parte di un codice dileggi umane e non si lasciano restringere in formule giuridiche valide una volta per tutte. Restano comunque profondamente vere perché descrivono la situazione di ogni uomo e di ogni donna davanti a Dio misericordioso; ci permettono di riconoscerci tutti, senza eccezioni, bisognosi di perdono e di un affetto illimitato, che solo il Signore ci può dare, e ci sospingono a esprimere la stessa apertura di cuore verso tutti, nessuno escluso.

La misericordia evangelica
La misericordia evangelica non può mai essere confusa col “buonismo”.
Il mistero della divina misericordia, infatti, non vuole lasciare la porta aperta al male; quando viene rivelato nella sua interezza, invita alla conversione, al bene da farsi con maggiore dedizione.
La predicazione della misericordia cristiana non è quindi mai un incitamento al lassismo; essa si coniuga con una detestazione forte, totale, assoluta di ogni male, in qualunque sua manifestazione.

Il perdono cristiano
Il perdono cristiano deve somigliare a quello di Dio Padre che perdona tutto e sempre.
Grazie alla coscienza che, come cristiani, abbiamo del perdono divino per la nostra colpa, possiamo esprimere la nostra capacità di perdonare.
Il perdono è riconoscimento dell’ampiezza del male e trasformazione di esso attraverso un’azione creativa positiva. È ciò che Dio compie appunto in noi quando ci perdona ed è ciò che noi, avendo sperimentato l’amore perdonante di Dio, ci sforziamo di fare con gli altri nella vita quotidiana, diventando così operatori di giustizia e di riconciliazione intorno a noi.
Le norme della giustizia sono necessarie, ma non esauriscono l’agire interumano che ha come regola: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» ricordandoti che sei stato amato dal Figlio di Dio, che per te ha dato la vita. «Amatevi come io vi ho amato» è un altro modo per dire «perdonatevi come io vi ho perdonato e continuo a perdonarvi».
Così il perdono è un dono perfettissimo, un dono talmente gratuito che è al di là di ciò che uno può ricevere o che l’altro può meritare.
E l’amore del Padre, che mette nei nostri cuori lo Spirito santo, ci muove, malgrado tutto, a chiederci sempre: che cosa potrei fare per amare di più, per perdonare di più, per capire di più, per accogliere di più? (C. M. Martini, Sulla giustizia, pp. 81-95)

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.