Eucarestia, guardiamoci negli occhi

Assistere e partecipare alla celebrazione d’amore eucaristico.
Dico che seguo a tratti perché la consueta liturgia ripetitiva alla lunga diventa noiosa. Perché le omelie post letture del giorno sono banali e insulse, spesso. E allora avendo imparato da chi è più esperto di me l’arte antica del raccoglimento, cerco di astrarmi dal contesto e ritirarmi nella meditazione più profonda possibile, in alcuni momenti. Tranne due importanti: la lettura del vangelo e quella dell’antico testamento, assieme alla lettera di Paolo o chi per lui, e la consacrazione con la celebrazione eucaristica.
E in questo momento della consacrazione, quando tutti si inginocchiano, o quasi, e il celebrante solleva in alto il pane e il calice, io mi faccio due domande. Perché voi, fratelli e sorelle nell’amore agapico, chinate il capo? Che significato date a quei gesti del celebrante? Prima se permettete, con amore rispondo per voi. Poi rispondo per me.
Io cerco di capire perché lo fate.
Lo fate pro amore dei.
Per amore di Gesù, del quale pensate di celebrare la passione e la morte.
Invece dovete celebrarne la vita.
Una vita spesa nell’amore per gli altri.
Vissuta nell’esercizio dell’amore che si dona.
Totalmente.
Con passione, o compassione sono la stessa cosa. Cambia il tratto divisorio.
Il nostro maestro ci dice di vivere amando.
Non di morire d’amore.
Amare tutti, al di là di un amore che si pone limiti e diventa convenzione.
Allora io non abbasso la testa di fronte al celebrante che innalza il pane e il vino. I quali vengono innalzati al di sopra dell’altare proprio perché siano visibili a tutti. Siano manifestazione del miracolo d’amore che Gesù ci ha lasciato per rinnovarli ogni volta col nostro amore. Non con il nostro culto religioso-peloso-ruffiano-ipocrita.
E allora non abbasso neanche gli occhi.
Anzi li tengo sbarrati, fissi.
Fissi in quel rotondo biancore tra le mani del celebrante, quasi a voler vedere due occhi che a loro volta fissassero me.
E io voglio vedermi fissato, e scoprire se quello sguardo mi interroga.
E mi rimprovera.
E mi richiama all’ordine dell’amore.
E mi dicesse: hai amato oggi? Pietro, mi ami tu?
Non basta che io dica . si Signore, ti voglio bene.
Devo amare.
Un amore che non abbia come limite me stesso, non devo amare come lo scriba al tempio.
Ma devo amare come Gesù ama.
Tutti, senza misura, perdonando fino a 70 volte 7, sempre.
Sempre?
Siamo molto lontani dal regno, specie chi ne parla come fosse  custode  e concessionario del sacramento.

Almeno lo scriba c’era andato vicino.
Buona GIORNATA,

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.