Basilicò e testa di Moro

La leggenda del basilico e della testa di Moro.
Vi chiederete che nesso ci sia tra il basilico e le teste di Moro che, a Palermo, ma anche in molte case di molti siciliani, sono vasi in ceramica emblema della nostra regione. Di bellissima fattura, questi vasi, piccoli o grandi, sono lavorati da straordinari artigiani che per millenni hanno “trattato” sapientemente la terracotta. La leggenda vuole che attorno all’anno mille, durante la dominazione dei Mori, nel popolare quartiere di AL KHALISA, adesso KALSA, vivesse, chiusa in casa per la gelosia del padre, una bellissima fanciulla. L’unico suo svago era la cura quotidiana delle piante poste nel balcone, dove passava molte ore del pomeriggio. Un giovane e bellissimo soldato Moro era solito passare da quella strada e nel vedere la fanciulla, se ne invaghì perdutamente. Tra i due nacque un grande amore nonostante il bel Moro le avesse taciuto di essere sposato e padre, e che presto sarebbe dovuto rientrare in patria. Scoperta la verità, la fanciulla, dopo una notte passione, lo fece addormentare per decapitarlo. La testa, poi, fu imbalsamata e tramutata in vaso per contenere una pianta di basilico. Pianta che, la giovane, curvava e irrorava personalmente con le sue lacrime d’amore, tanto da farla crescere forte e rigogliosa. Questo provocò l’invidia di tutto il vicinato che immediatamente si fece confezionare dagli artigiani più bravi, vasi raffiguranti la testa del Moro. Questi vasi, ora simbolo della nostra terra, sono prodotti e venduti “in” coppia …ovviamente senza basilico. La leggenda sta a simboleggiare la pazzia suscitata dal diavolo. Adesso sapete quanto possa essere pericoloso regalare una pianta di basilico a una fanciulla sicula. Specie se gelosa. Riflettendo: se questa leggenda prendesse corpo nel nostro tempo, avremmo balconi adornati da bellissime teste di Moro…

A seguire… Un tempo quanto il maschio si dichiarava ad una ragazza, la risposta avveniva tramite la grasta, vaso, di basilicò alla finestra. Se l’indomani nel balcone della ragazza c’era il vaso col basilicò, allora era SI. Se il vaso non c’era significava che la proposta di fidanzamento era stata rifiutata. Quando si era giovani e qualcuno si fidanzava ufficialmente tra gli amici, lo si prendeva in giro dicendogli: si fici lu basilicò! Cioè è maturato il tempo di fidanzarti ufficialmente
VUATRI VI ADDUMANNERETE ‘cchi legami c’è tra lu basilicò e la testa di lu saracinu, ca a Palermu sunnu grasti in ceramica simbolu di la nostra regioni. DI FURMA BEDDA ASSAI, STI GRASTI O VASI, nichi o ranni, sunnu travaggliati da bravissimi artigiani, ca pi millenni hannu saputu lavurari cu sapienza la terracotta.LA LIGGENDA DICI CA VERSU L’ANNU 1000, mentre c’erano li turchi, ni lu quartieri di la Kalsa, c’era ‘nchiusa intra a so casa, ‘pi la gilusia de so patri, na picciotta bedda assai.
L’unicu passatiempu era abbadari a li pianti di lu balcuni, unni passava molte uri di lu pomeriggio.
UN picciotto surdato turcu, beddu assai assai, passava sempri pi ‘dda strata, e appena vitti dda carusa, si innamorau persu.
TRA IDDI DUI NASCIU UN AMURI RANNI, E MACARI CA LU TURCU PICCIOTTO CI AVIA AMMUCCIATU A IDDA, MISCHINEDDA, CA ERA MARITATO, puru patri, e ca avia a rientrari prestu in patria. Soperta la virità, la picciotta, doppu na notti di ‘nfucata passioni, lu fici addummisciri pi tagliarici la testa.
La testa poi fu ‘mbalsamata e trasfurmata in grasta pi tenirici lu basilicò.Chianta di basilicò che la picciotta abbrivirava e curava pirsonalmenti cu li so’ lacrimi d’amuri, tantu ca criscivi forti e ciuruta.
Sta cosa provocò l’ammidia di tuttu lu vicinatu, ca subito si ficiru fari dalli artigiani ‘cchiù bravi vasi ca raffiguravano la testa di lu turcu.
Sti grasti sunnu simbolo di la terra noscia, sunnu vinnuti a coppia, naturalmente senza basilicò.
Lu cuntu o leggenda, voli diri ca la pazzia suscitata di lu diavulu è periculusa assai.
Ora sapiti quantu è piriculusu arrialare na grasta di basilicò a na carusa siciliana. Specialmenti si è gilusa.
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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.