Apollo e Dafne

Galleria Borghese, Roma.

Sulle tracce della bellezza e del mito.

Apollo si vantava di aver ucciso il terribile serpente, figlio di Gea. Il dio Eros, divenuto geloso, decise di vendicarsi e scagliò una freccia d’oro ad Apollo per farlo innamorare della ninfa Dafne, figlia del dio-fiume Peneo. A quest’ultima, invece scagliò una freccia di ferro per l’odio. Con effetto immediato di queste due frecce, Apollo iniziò a rincorrere Dafne e proprio mentre stava per afferrarla, la ninfa invocò il soccorso del padre, affinché la tramutasse in qualcosa per non sopperire all’amore non corrisposto del dio. Il padre intervenne, tramutando Dafne in una pianta d’alloro, che da quel momento in poi divenne il sacro simbolo del dio Apollo.

Con quest’opera, Bernini raggiunse un dinamismo che era impensabile in scultura. Apollo è rappresentato nell’atto di afferrare la ninfa proprio mentre sta per trasformarsi in pianta d’alloro. La scultura di Bernini è la consacrazione del movimento. Il marmo sembra muoversi e animarsi nelle movenze del dio e della ninfa. Apollo ha lo sguardo fisso sulla ninfa che si trasforma tra le sue mani, che appena afferrano il fianco di Dafne protesa a sfuggirgli. Tutta la tensione del dio è incentrata sulla gamba destra dove sembra poggiare l’intero gruppo marmoreo. Apollo sembra tirarla a sé, con la torsione del busto verso destra mentre la ninfa si protende verso il lato opposto già in preda alla trasformazione. Lo sguardo della ninfa esprime dolore per il fatto di essere stata quasi raggiunta dall’abbraccio di Apollo e sollievo per la trasformazione che è già in atto. Apollo dal canto suo tende la sua muscolatura nel disperato tentativo di un abbraccio fallace, il tutto dato dal movimento degli arti , delle ciocche di capelli che volano all’indietro, e dal mantello che copre pudicamente il pube del dio. A trasformazione avvenuta, ad Apollo altro non resterà in mano che un rametto di alloro col quale si cingerà in eterno la fronte dei poeti, degli artisti, di tutti coloro che rendono omaggio al dio delle arti, così come lui lo rese ad un amore impossibile cingendosi la fronte di Alloro.

Sul lato anteriore del piedistallo, su un finto cartiglio a forma di pelle di drago venne inciso un distico moraleggiante dell’allora cardinale Maffeo Barberini (futuro papa Urbano VIII):
“Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu carpit amaras.”
[Chi amando insegue le gioie della bellezza fugace riempie la mano di fronde e coglie bacche amare.]

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.