Amatevi l’un l’altro…niente altro

“L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo”.
È una analisi del 2018 del Papa, sul VI comandamento, che porta delle riflessioni da fare, partendo da questa frase.
Tutti noi abbiamo bisogno di amare ed essere amati.
Siamo esseri viventi che esistono in quanto capaci e necessitati di relazione con gli altri.
Bisognosi di cure e di attenzioni, affetto,.
Solidarietà, riconoscimento della propria persona come fattore di crescita personale e dell’altra persona che sta con noi.

Questo amore però deve essere fedele, leale, sincero, duraturo.
E il matrimonio deve incarnare queste caratteristiche dell’amore.
“Non si può amare solo finché conviene”, ha spiegato il papa: “L’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve”… “nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà”.
Però se si deve essere amati senza condizioni, non è forse il matrimonio una condizione già esso stesso?
E condizione non significa anche limitazione, porre limiti e paletti, definire il recinto sacro in cui l’amore deve muoversi ed esprimersi?
Ora siamo in un mondo che apre gli orizzonti alla relazione, ove si può confondere l’amore con altri surrogati dice il papa, certamente il sesso e l’attrazione fisica possono essere forti surrogati dell’amore.
Ma due persone che fuori dal matrimonio si amano per quello che si danno e per quello che sono, pur in adulterio, sono da condannare a priori?
Forse che l’amore può conoscere barriere di sorta, e come tale non essere capace di sconvolgere l’esistenza?
Ed è proprio così tenacemente inattaccabile l’amore tra due persone, al punto tale che non deve conoscere altro amore se non quello espresso in una promessa?
La quale proprio essendo tale deve essere attualizzata ogni giorno anche tra momenti più o meno duraturi di defaillance e caduta di tono.
E se in un momento della nostra vita coniugale, viene a mancare proprio quel bisogno di essere amati che ci rende soggetti precari e vulnerabili, e ci si rivolge ad altra persona, che succede?
Finisce tutto?
E’ finito l’amore primario perché da esso germoglia un nuovo sentimento che ci apre all’esterno?
Non lo definirei tornaconto, non si ama per tornaconto, si ama per bisogno.
E il bisogno è sempre duplice, anfotero, da ambo le parti.
Amo perché ho bisogno, e ami perché io bisogno a te.
Ma non per usarti, ma per crescere, per trovare quella accoglienza perduta primariamente e per quel senso di completezza che forse mai raggiungeremo, ma proprio per questo spinge incessantemente gli umani a cercare nell’altro qualcosa che ci manca e ci fa desiderare.
Intanto si ama, anche nel silenzio, con raccoglimento.
Con sentimenti più o meno fervidi, accesi.
Con e senza passione, desiderando, accogliendo.
Carezzando, sfiorandosi.
Non si può essere diversamente da come siamo.
Fatti per l’amore e per amare.
Tutti, tutte, in un abbraccio ecumenico fraterno, ma anche ove è possibile di passione.
Perché amore non ha limiti, definizioni, costituzioni, leggi.
Se non quelle dell’antico raptus divino che sconvolge anima e corpo.
E rischia, mette in pericolo, corre sul baratro e attraversa oceani incolmabili di infinite distanze.
E il VI comandamento fa diventare incostituzionale la condanna eterna dell’inferno e incostituzionale esso stesso.
Perché credo che saremo tutti assolti.
Perché il fatto non sussiste.
Perché l’amore tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
L’amore non condanna, né si condanna.
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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.