Virus e Riti

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Essere cattolici in tempi di crisi e di teologia sacramentale ferma al concilio di Trento  diventa complicato.  Complicato perché la religione che professiamo col passare dei secoli sempre più si è allontanata dalla verità del vangelo.  «Che cos’è la verità?». chiede Pilato a Gesù mentre lo interroga, e senza attendere risposta gli volge le spalle ed esce fuori per consegnarlo al popolo ( Gv 18,38). Così facciamo noi cattolici, così ha fatto e continua a fare la chiesa cattolica alla quale apparteniamo. Perché ci siamo allontanati dalla verità evangelica? Non certo perché la chiesa predichi l’eresia, intesa come altra verità, oppure perché siamo noi cattolici diventati eretici. Semplicemente perché la nostra religione, in origine solamente cristianesimo senza altri aggettivi che la qualificassero come  cattolica-universale e per contraddizione di termini, anche romana, si è trasformata. E da quando dopo i primi secoli, da religione perseguitata divenne religione di stato e persecutrice , cominciò a rivestirsi e ad ammantarsi di formule e paramenti di potere, che ne potessero in qualche modo giustificare e rendere plausibile la sua autorità sugli uomini e sulle leggi che li governano. Si è passati in definitiva dalle prime spoglie comunità  che si riunivano nelle domus domestiche,”dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» ( Mt 18,20). a celebrare la Parola e a condividere l’eucarestia sotto forma di cena domestica, alla maestosa rappresentazione di riti e liturgie in templi immensi e tra ori e paramenti preziosi. In altre parole si è data così la massima importanza al rito e alla sua esteriorità, contrariamente al libro di Osea ” misericordia voglio e non sacrifici”, mettendo in secondo piano il significato della eucarestia e di un rito, che tutto è tranne rito religioso. Quando Gesù prende il pane e lo spezza per distribuirlo e essere mangiato, ci dà un comandamento nuovo: amatevi come io vi ho amato, e fate quello che faccio io, facendovi come  me pane che nutre gli altri.  “Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Mt 26,26-28). Ebbene abbiamo trasformato questo in un rito commemorativo di un sacrificio che ala luce di quel che abbiamo compreso si è rivelato poco fruttuoso. La chiesa nella sua tradizione millenaria si è rivestita di riti e paramenti ed ha perso di vista, fuorviando anche noi fedeli, il vero senso eucaristico. Ecco perché adesso, in un tempo nuovo e difficile, molti all’interno e fuori di essa, seppur animati da lodevoli intenzioni, sembrano vagare alla cieca e senza fissa dimora. Siamo stati colti tutti alla sprovvista da questa pandemia, certo. La chiesa non è stata immune. Da più parti si levano grida di scandalo e di dolore per le funzioni soppresse causa contagio. Da altre parti, il clero si sta inventando di tutto, dalle processioni di Madonne motorizzate, a cortei con Spade di arcangeli sguainate, a esposizioni di icone presunte miracolose. Tutto questo mentre luoghi deputati ai miracoli, e pure fortemente accreditate, come Lourdes e Fatima, chiudono per epidemia. Per non dire della ridicola sparizione delle apparizioni a Medjougorie. Resistono nella loro credibilità le funzioni liturgiche e le celebrazioni in tv o sui mass media di uso comune. Ed è li che bisognava operare uno sforzo, degno di canonisti e liturgisti guidati dallo Spirito.   Nessuno ha avuto il coraggio innovativo, a parte poche eccezioni che chi segue e conosce ben sa, di mettersi dietro una scrivania, che ove venga posato il vangelo diventa altare di celebrazione della Parola, e senza paramenti o addobbi, possa proclamarla alle famiglie. E con loro spezzare un comune pane, rendendo benedizione e grazie di quello che saremmo capaci di fare per gli altri, in virtù di quel nutrimento. E agli orfani di una via Crucis in mondovisione, vorrei ricordare che forse viverla da casa, senza confondersi tra la folla è il modo migliore per commemorare la morte del Signore. Facciamo una volta tanto come la prima comunità, che fuggì al momento della crocifissione, e si tapparono in casa. Per una umana paura. Noi stiamo in casa, per una umana paura, non dei Giudei e dei soldati, ma per qualcosa di altrettanto subdolo e pericoloso. E nell’attesa stiamo vicini alla croce come lo erano le donne e l’apostolo che egli amava. Verrà il tempo in cui avremo di nuovo la gioia di uscire, e in cui ci renderemo conto che un rito non è la fede.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.