Un mondo in preda alla frenesia dell’acquisto e del possesso, della lotta per la supremazia degli uni sugli altri, dove gli ultimi sono sempre perdenti e più disperati, e non importa se muoiono sotto le bombe o annegati nel mar dei Profughi. Si è parlato di decrescita felice, ma è un azzardo in una società fondata sul PIL e sul profitto, che fa del DEBITO pubblico il miglior alleato per tagliare assistenza sociale e sanitaria, scuole e investimenti per migliorare il territorio, salvaguardarlo, e proteggerlo. Certamente siamo in un surplus di fabbisogni inutili, ma anche in deficit di lavoro necessario per vivere dignitosamente, e non si riesce ad aumentare quest’ultimo a scapito del superfluo che ci sovrasta. Le due misure non sono comparabili, almeno per ora, perché le esigenze consumistiche vedono interessati anche le categorie dei meno abbienti. Quindi occorre innanzitutto uscire dalla visione ottusa e senza sbocchi del risanamento del debito pubblico, che ammonta a 2300 miliardi di euro, cifra ormai insanabile. E una volta sfuggiti a questa forca caudina, che l’Europa usa come morso per favorire a livello nazionale delle riforme su pensioni, lavoro e sanità da suicidio collettivo, ritornare ad investire oculatamente e con perizia da buon padre di famiglia, severo che sappia educare noi figli dello stato alla buona manutenzione del denaro pubblico e della cosa pubblica. Quando ci saremo liberati da queste tagliole delle banche centrali, e la sovranità economica ritornerà al popolo sovrano, allora si potrà cominciare a studiare il piano di rientro dal PIL e dall’esubero e spreco di risorse umane, per ben indirizzarle alla naturale acquisizione del benessere materiale e spirituale.
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