Morire in tempo di pandemia

Ieri sera era l’occasione giusta per  raccogliere pensieri e sentimenti, per trovare parole scritte o per parlare, scrutare dentro me ciò che sento, e ascoltare le reazioni del mio animo.
Che traballa o esulta, gioisce o langue, sempre ricco, pieno di emozioni, memore che se esse mancano allora ci si sente vuoti, afoni, inutili, vacui.
Eppure tante volte vorrei esserlo, vorrei essere un automa che risponde solo a comandi esterni, che non prova sentimenti ed emozioni, che lascia che il mondo scivoli addosso ad un cuore di lamiera, in modo da non lasciarvi impronte e cicatrici.
Invece in questi giorni tutto lascia segni, tutto scatena passioni, mette alla prova le capacità di ognuno di provare un senso positivo e darlo alla vita nonostante la violenza e la bruttezza che essa mostra attraverso i mezzi e i modi che ce la raccontano.
No, non si può restare indifferenti di fronte a padri che vedono morire  i figli, non si può dire che il mondo sarà salvato dalla bellezza, che l’armonia è l’humus che ci nutre, e che nonostante tutto l’odio va sconfitto con l’amore e il male con il bene.
Amo pensarlo, ma non lo credo fino in fondo, non almeno in questi termini, in questi momenti, in cui i cuori sono attanagliati dalla morsa della paura e dell’angoscia.
Che mi fa chiedere quando finirà questa orribile strage, questi lutti, che non pensavo potessero mai più far parte della nostra. in termini così pesanti come prezzo di vite umane.
Perché succede?
Ci stiamo rendendo conto che la fine di persone care a tutti sta avvenendo in un modo a dir poco disumano, in una maniera che non ha niente della nostra cultura e del nostro millenario agire e pensare?

L’uomo da quando è sapiens, ha sviluppato il suo senso religioso, chinando il capo a ciò come mistero tremendo gli ha mostrato la sua limitatezza, e come forma di rispetto verso la morte ha messo in atto i riti della sepoltura.L’estremo saluto al proprio caro defunto è stato il segno di una religiosità che mostrava verso la morte il massimo rispetto. E verso le persone care il più grande segno di affetto che in ultimo si poteva concedere ad una spoglia mortale. Adesso in questi giorni, non ci è concesso più il modo di farlo. E’ la giusta conclusione di un mondo che ha virato, sbagliando, verso il solipsismo, la solitudine forzatamente cercata, scambiata per benessere. Abbiamo preferito agli esseri umani le cose possedute: abbiamo scambiato le carezze con lo sfiorare i tasti, le parole sussurrate con quelle digitate, il calore umano con quello delle batterie surriscaldate.  E’ chiaro che come contrappasso, il karma come si dice da un poco di tempo a questa parte, si prendesse su di noi la rivincita. Abbiamo preferito tenerci a distanza da tutti? Bene, un essere invisibile ti mette allora davanti agli occhi la cruda realtà che noi non vogliamo vedere, e ci impedisce così di scambiarci strette di mano, parlarci da vicino, socializzare e restare segregati in casa. Quella casa che mentre prima era vista come rigugio e riparo dall’invadenza del mondo, adesso è la prigione da cui tutti vorrmmo evadere per vive
Perché non siamo capaci di abbracciare nessuno e elargire carezze e baci, invece di uccidere, essere portatori di morte invece che di vita…
Ditemi, perché devo ancora credere che l’uomo è buono, e che si salverà?
Annegheremo in un mare di lacrime di pianto, forse quello sarà il battesimo purificatore che ci farà sorgere a nuova vita, forse…inizio a versare le mie
il doc è addolorato …

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.