L’incontro

Se ne andava lentamente un vecchio stanco chiamato Anno.

Il cielo del 30 dicembre era mesto e grigio, come il viso solcato dalle rughe di fatica e con gli occhi tristi di rimpianti.

Udiva da lontano i botti di fuochi d’artificio e le grida stranamente felici degli umani che brindavano al passato noto non conoscendo l’ignoto futuro a loro riserbato.

Tra alberi spogli e fiocchi candidi di neve che lentamente cadevano dall’alto e facevano il paio col suo lento incedere in basso, il vecchio vide venirgli incontro un gioioso bambino paffutello e irridente.

L’incontro fu cordiale, seduti sotto il manto di una quercia secolare che li riparava dalla nevicata incombente, le due generazioni presero confidenza.

E così il vecchio canuto narrò di quei giorni trascorsi tra gli uomini e ne descrisse i doni che egli aveva loro portato. Gli occhi del bimbetto si fecero attenti e curiosi, come ben sanno i nonni quando tenendo in braccio i nipotini, si apprestano a raccontare le loro favole.

Il vecchio iniziò la narrazione.

Sai, disse, io ero un pargolo come te, e avevo con me un sacco pieno di mesi.

Il primo che tirai fuori fu Gennaio, che per dare riposo alla terra e alla natura tiene corti i giorni e lunghe le notti, affinché cessino presto le attività e ci si possa tenere al caldo in casa mentre fuori la candida neve fa maturare i semi sottoterra e nutre le radici degli alberi.

Poi è la volta di Febbraio, giocoso, allegro, che festeggia la imminente primavera mascherandosi da tutto ciò che simboleggia la fecondità e la vita che rinasce.

Per tale motivo il terzo a venire fuori è Marzo, che dicono pazzo, ma è invece molto saggio, perché sa alternare il sole e la pioggia, risveglia la natura e fa fiorire gli alberi svegliandoli dal loro lungo sonno.

Quindi è la volta di Aprile, secondo me il mese più bello, ma non so, disse mesto il vecchio, se gli umani capiscono questo dono. E’ il mese in cui le fanciulle intrecciano corone di fiori e margherite da campo, spuntano rose sui roseti selvatici affinché possano essere donate dall’amante all’amata.

E poi il mese più egoista, Maggio. Si dice in giro che Aprile fa i fiori e Maggio se li gode. E’ pura verità: tutto ciò che di bello fa suo fratello Aprile, lui se ne gode e se ne vanta.

Il sesto dono è Giugno, quello che tiene le messi in pugno. Hai mai visto quale oro è capace di dare la terra? Spighe che ondeggiano al lieve soffio dei venti di primavera, e piegano il capo alle sue carezze.

Ci pensa Luglio a farne pane per gli uomini e gli uccelli del cielo, quel pane che sembra veramente dono degli dei e senza il quale nessun essere umano potrebbe vivere.

Irridente e gagliardo, poi è la volta di Agosto, quello del solleone, che rimbambisce i poco accorti che vogliono godersene senza riparo, e spinge le cicale a cantare e sfottere le formiche lavoratrici, come se non ci fosse un domani.

Quando cominciai ad essere avanti nel tempo, tirai fuori Settembre. Gli occhi del bambino a quel punto da furbetti divennero attenti e un filo di pensiero triste vi si affacciò. Dunque non resterò a lungo così, pensò tra sé e sé. Ma le parole del vecchio ripresero lente e suadenti.

Settembre è il mese che precede i congedi, finiscono gli amori estivi e caduchi, così come le prime caduche foglie cominciano ad ingiallire sui rami.

Ci pensa Ottobre a completare l’opera, tingendo le città e i campi di giallo rossiccio, come di una gioventù persa e sfiorita, presagio della perdita e della mancanza.

Per fortuna Novembre scaccia poi i tristi presagi col vino novello, che fu donato dagli dei immortali agli uomini affinché venissero lenite le loro pene e dimenticassero seppur per breve tempo, i loro affanni.

Ma non è così per me, scartando l’ultimo dei doni, disse il vecchio, decreto la fine del mio operare. Trenta giorni di dicembre volano via tra feste e ricorrenze, nessuno sembra più ricordarsi quel che io ho donato, e oggi gli uomini ingrati non vedono l’ora che io me ne vada e venga sostituito da te. Cosa porterai agli uomini? Lo interrogò il vecchio.

Il bambino guardò il vecchietto e gli diede un bacetto. Rispose sicuro: la speranza.

Lo lasciò col sorriso stampato nel gioioso viso, ma intanto era passato un giorno intero da quell’incontro, e Dicembre si vide regalare un altro giorno dal vecchietto, l’ultimo regalo nel sacco ormai vuoto.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.