Lc 23,35-43 Regalità di Gesù

Dal Vangelo secondo Luca 

Il popolo stava a vedere, i capi invece schernivano Gesù dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto».
Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano:
«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Il governatore romano chiama Gesù. “Sei tu il re dei Giudei?” Chiede Pilato, in modo dispregiativo, non usando il titolo re di Israele, ma dei Giudei. Un modo razzista dei romani per indicare il popolo israeliano, ma anche l’attesa religiosa di questo popolo nei confronti di un Messia tradizionalmente noto anche ai romani. Israele era il popolo promesso a Dio, adesso col rifiuto nei confronti di Gesù non accettato come Messia, questo popolo cessa di essere eletto e diventa un popolo tra i tanti, una razza come tante altre sulla terra: i Giudei. Gesù ribatte alla domanda: lo dici tu perché sei convinto di questo, o altri te lo hanno suggerito? Che brutto cliente questo nazareno! Si trova legato e in casa del governatore, eppure risponde senza nessuna paura e controbatte con eguale coraggio alle insinuazioni che gli vengono mosse. L’evangelista vuole mettere in risalto il tradimento dei capi del popolo giudaico nei confronti di Gesù, odiato più dello stesso invasore romano. Perché l’invasore aveva permesso loro di conservare il loro potere e le loro ricchezze. Gesù aveva messo in dubbio che tutto ciò fosse lecito, per giunta fatto in nome di un dio che ormai non risiedeva più nel tempio e non era certo quello che aveva stipulato con l’antico Israele un patto di alleanza. In ogni caso Gesù afferma di fronte a Pilato che la sua regalità non è legata al mondo, al potere e alla forza, che generano l’ingiustizia come peccato del mondo. La sua regalità non viene dalle armi, dalla violenza, dalle guerre e dal dominio, ma è una regalità che viene dall’alto. E’ quella che viene dallo Spirito di vita che comunica vita con l’amore del Padre, e che mai produrrà morte per mezzo dell’oppressione e della violenza. Si, Gesù dichiara di fronte a Pilato di essere re, ma non dei Giudei e solamente di essi, ma re di un mondo libero che accetta il suo insegnamento e che instaura un regno in cui siano la giustizia e l’amore vicendevole tra gli uomini a farne il regno di Dio. Egli è re, non al modo della regalità di questo mondo, ma per rendere testimonianza a questa verità: verità che nel vangelo di Giovanni è il bene e la felicità dell’uomo, unico e vero progetto di Dio sull’umanità delineata fin dal prologo di Giovanni. per questo Gesù dice sono venuto al mondo, e su di lui lo Spirito del Padre si è posato fin dal concepimento, per dare testimonianza della verità che è la vita e la luce degli uomini. la sua missione così si inserisce nell’opera creatrice del Padre per portarla a compimento nella pienezza di vita che solo il Padre possiede e dona. Chiunque è a favore della vita e aderisce perciò al suo messaggio, questi sono nella verità, e con Gesù la compiono senza possederla. Perché la verità si fa, non si possiede. E fare la verità ed essere nella verità significano solamente operare per il bene e la felicità degli uomini eliminando ingiustizia e oppressione.

La morte su quel patibolo, inchiodato alla croce come “maledetto da Dio”, permette a Gesù di offrire non l’immagine di un sconfitta, ma di un trionfo. I due crocifissi accanto a lui, da una parte e dall’altra, ci rimandano a Mosè che con le braccia stese, sorrette da due ai suoi lati, fermava i nemici egiziani che inseguivano il popolo ebreo fuggiasco. Il CARTELLO  in cima alla croce, Gesù Nazoreo re dei Giudei, è scritto in tre lingue, a rappresentare quelle conosciute nel mondo di allora per dare universalità al suo messaggio, al contrario della religione che lo condannò,  che era razzista e nazionalista, e che crea divisioni tra gli uomini. La croce è l’unica Scrittura sacra che rimane eternamente come segno dell’amore perenne di Dio, al contrario della scrittura umana che non è né sacra né eterna, ma labile e relativa. Il linguaggio dell’amore di Gesù espresso dalla CROCE, da dove fino all’ultimo in un clima crescente di odio, lui morente ha parole di misericordia e perdono per i suoi assassini, è universale ed eterno e lo può comprendere tutta l’umanità. Il MANTELLO è simbolo del regno, è un segno di regalità, messo sulle sue spalle dai soldati, come usavano fare quando riconoscevano il loro comandante o imperatore. Viene diviso in quattro parti come i punti cardinali, significa che è universale, cioè il Regno va annunciato a tutto il mondo, nei modi che ognuno ritiene opportuni e col linguaggio adatto alla situazione storica in cui si annuncia. La  TUNICA invece è senza cuciture, calata dall’alto, significa che è tessuta da Dio, non può essere divisa perché è la parte intima della persona. Essa rappresenta l’amore di Dio che non può essere separato, diviso: è il messaggio unico che viene da Dio, raggiunge tutti, ma non si può dividere o scindere. Invece nei secoli tale messaggio alterato ha creato scismi e divisioni. Coloro che seguono Gesù ai piedi della croce, non sono lì per  consolare Gesù, ma sono quelli che sono pronti a dare la vita COME lui ( non per lui). Sono la MADRE, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala. Maria presso la croce, non è la madre dolente trafitta dal pugnale del dolore, ma la discepola fedele del Figlio, che lo segue fin sulla croce, addolorata ma in piedi sta nei pressi della croce. La madre di Gesù sta presso la croce, non la subisce, non vi si sottomette, ma condivide la sorte del Figlio, lei madre e discepola. Mentre Maria di Magdala è detta sua sorella perché fanno parte della prima comunità dei discepoli, che non si sono dispersi dopo l’arresto, al contrario del gruppo fuggito. La Madre è il popolo di Israele, il resto fedele all’Alleanza, da cui proviene anche Gesù. Maria di Magdala invece rappresenta la Nuova Alleanza del popolo con Gesù. Il Discepolo che egli ama, è anonimo, non è preferenziale come titolo, perché è data possibilità a tutti di essere come lui, pronti a morire come Gesù.

La regalità di Gesù non si impone, ma si realizza solo su quelli che liberamente l’accettano, come dimostra l’unico personaggio che ha uno sguardo lucido, capace di scoprire nella persona del crocifisso il vero re: è uno dei malfattori crocifissi con Gesù che, nonostante l’apparente fallimento, riconosce la sua innocenza e confessa il suo messianismo. A lui Gesù, re senza insegne del potere, offre il suo dono: “oggi sarai con me in paradiso”. Gesù, che non è venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Lc 5,32), mostra i frutti di questa missione nella sua morte. La vita eterna non è rimandata alla fine dei tempi, ma si inaugura nel momento in cui l’amore di Gesù si manifesta con tutta la sua potenza. Il paradiso non è riservato a un gruppo di eletti ma è aperto a quanti, come il malfattore inchiodato sul patibolo, si mettono dalla parte di un perdente. Costoro ottengono la vittoria ed entrano nella vita. Al contrario, quelli che contano sulle proprie forze e rifiutano il modello di umanità che Gesù propone sono i veri perduti della storia e vanno incontro alla rovina totale.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.