La tempesta di Rembrandt

Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606, Leiden – 1669, Amsterdam), “Cristo nella tempesta sul mare di Galilea” 1633, Olio su tela, 160 × 127 cm, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston

L’episodio della tempesta sul mare di Tiberiade (che poi è un lago), viene rappresentata con intensità di luce e di colori, tipici dell’arte fiamminga, che riproducono l’emozione e i forti contrasti tra la violenza della natura e la paura degli uomini a bordo della barca. Sballottata dalle onde che quasi la sommergono, spinta dalla forza del vento che sembra quasi di intravedere come umanizzato tra le tinte fosche del cielo e la spuma scomposta del mare,  la barca è fissata nell ‘attimo eterno in cui oscilla paurosamente tra un imminente naufragio su quegli scogli in primo piano  a sinistra, e un evento che si fa percepire straordinario. Dodici marinai, esperti di quelle acque, perché almeno 4 di essi erano pescatori, lottano disperatamente con la furia devastante della natura ribelle. Sono tutti tratteggiati con caratteristiche particolari, lontani dalla soave pacatezza della Cena di Leonardo. Eppure al centro di essi, comunità in preda allo sconforto e alla paura, ci sta sempre quel giovane uomo, incurante di tutto, che sembra rassicurare quei marinai. Uno di loro è vinto dalla nausea e sta sul bordo della barca a vomitare; tre sono attorno all’albero maestro, altri due li aiutano ad ammainare la vela che si mostra già strappata dalla furia del vento, la sartia svolazzante viene tenuta a bada o almeno cerca di farlo uno dei due. Il timoniere guarda preoccupato e speranzoso quel giovane uomo che sembra destarsi dal sonno incurante di tutto, mentre un gruppo di cinque  attorno a lui sembrano chiedergli qualcosa, un intervento che  non sembra nelle loro umane capacità. Luci e ombre si fanno la guerra, l’oscurità della tempesta viene squarciata da un lampo di sereno che si intravede in alto a sinistra.  La luce non lotta con le tenebre, dove essa appare le tenebre semplicemente si dileguano. E’ la speranza di un epilogo a lieto fine. Perché quella comunità allo sbando, sulla barca attraversata dalle tempeste della vita, e delle persecuzioni che dovranno sopportare dopo la morte del loro maestro, ( rappresentato dal sonno narrato nell’episodio del vangelo, e da cui viene destato) infine vedranno l’intervento decisivo che placherà quella tempesta e dirà loro: “Io sono, non temete”, ci sono sempre io con voi, non sono io che dormo, ma siete voi che mi avete allontanato dalla vostra missione ed esistenza.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.