LA RESURREZIONE OGGI (H. Küng da “Vita eterna?”).

LA RESURREZIONE OGGI (H. Küng da “Vita eterna?”).
Che significato possiede questa resurrezione di Gesù per me, qui e oggi? Voglio spiegare ciò, a mo’ di conclusione, in tre rapidissimi punti.

a) Resurrezione significa una radicalizzazione della fede in Dio: come abbiamo visto, credere nella resurrezione non equivale a credere a determinate curiosità inverificabili e neppure ad «aggiungere» qualcosa alla fede in Dio. No, la fede nella resurrezione non è un’aggiunta alla fede in Dio; essa è addirittura la radicalizzazione di quest’ultima, la prova fondamentale, che la fede in Dio deve superare. Perché? Perché con la mia incondizionata fiducia io non mi fermo a mezza strada, ma vado, coerentemente, fino in fondo. Perché da questo Dio io mi attendo tutto, appunto anche la realizzazione della speranza ultima, la vittoria sulla morte. Perché ragionevolmente confido che il creatore onnipotente, che dal non essere chiama all’essere, possa anche chiamare dalla morte alla vita. Perché dal creatore e conservatore del cosmo e dell’uomo mi attendo che abbia da dire una parola anche nel momento della morte, al di là dei limiti conosciuti dall’esperienza; che a lui spetti, oltre che la prima, anche l’ultima parola, che egli, oltre che il Dio delle origini, sia anche il Dio della fine: Alfa e Omega. Chi crede con questa serietà nel Dio eternamente vivo, crede anche nella vita eterna di Dio, crede anche alla propria – dell’uomo – vita eterna.

b) Resurrezione significa una conferma della fede in Cristo: il cristiano crede, primariamente, non «nella» resurrezione, in un fatto del passato, ma «nel» Risorto stesso, nella sua persona presente. Ma, colui che è stato risuscitato alla vita non è altri che il Crocifisso. La resurrezione non può stare senza la croce. Chi, di fronte alla pura beatitudine della resurrezione, pensa di poter ignorare la croce, cade nell’ignoranza della realtà propria di tutti gli entusiasti o neoentusiasti della storia universale. Per i cristiani la fede nella resurrezione non può aver luogo dimenticando la sofferenza, le situazioni, i contrasti e le avversità, ma soltanto passando attraverso tutte queste realtà. La croce e la resurrezione si implicano, quindi, sempre a vicenda: la croce è «superabile» soltanto nella luce della resurrezione, ma la resurrezione è vivibile soltanto all’ombra della croce. La fede nella resurrezione rinvia, quindi, sempre a colui al quale non fu risparmiata la via lunga della croce, della morte e del sepolcro.
Annunciare il Crocifisso come il Vivente era tutt’altro che una cosa naturale. Anzi, secondo Paolo era una «morìa», un’«assurdità», la follia per eccellenza. Significava però la volontà di affermare – nella speranza contro ogni speranza – proprio di fronte al fallimento, che questo rigettato e condannato dalle legittime autorità, questo presunto maledetto da Dio, ha, nonostante tutto, avuto ragione, che, anzi, Dio, nel cui nome questo pseudomessia venne eliminato, lo ha accolto e confermato. Che, quindi, Dio si è messo dalla sua parte e non da quella della gerarchia fedele alla Legge e schiava della lettera, che riteneva di aver eseguito la volontà di Dio. Credere nel Risuscitato a vita nuova significa, quindi, tornare a riflettere sulla vita, che egli ha vissuto, sulla via, che egli ha percorso; significa, in una parola, iniziazione alla sequela dell’Uno che mi impegna incondizionatamente a percorrere la mia via, la mia propria via, secondo le sue indicazioni. Così, a partire dalla sua nuova vita, mi passa davanti ancora una volta, in una retrospettiva, tutto ciò per cui questo Gesù di Nazareth è esistito e per cui ancora oggi esiste – come il Vivente – invitando, esigendo e insieme promettendo:

* Anzi, egli ha ragione se si identifica con i deboli, gli ammalati, i poveri, i sottoprivilegiati, ma anche i moralmente falliti;

* egli ha ragione quando esige il perdono senza fine, il servizio reciproco senza graduatorie, la rinuncia senza contropartita;

* egli ha ragione quando si sforza di abbattere i confini tra compagni e non compagni, tra vicini e lontani, tra buoni e cattivi, e ciò con un amore, che non esclude dalla benevolenza nemmeno l’avversario e il nemico;

* egli ha ragione quando fa essere per l’uomo le norme e i precetti, le leggi e i divieti, quando, sempre per l’uomo, relativizza le istituzioni, le tradizioni e le gerarchie;

* egli ha ragione quando dichiara che la volontà di Dio, in quanto norma suprema, non mira ad altro che al bene dell’uomo;

* e ha ragione con questo suo Dio, che solidarizza con i bisogni e le speranze degli uomini, che non solo chiede, ma anche dà, che non reprime, ma rialza, che non punisce, ma libera, che invece del diritto fa trionfare senza riserve la grazia.

L’assunzione di Gesù nella vita di Dio non ci apporta, quindi, soltanto la rivelazione di verità supplementari, ma la rivelazione di Gesù stesso: egli ha ricevuto la conferma definitiva. Da questo momento diventa comprensibile perché la decisione in favore della sovranità di Dio sulla terra, da lui richiesta durante la sua vita, diventi la decisione in favore di lui stesso, più esattamente: perché la decisione pro o contro la sovranità di Dio in seguito – e soprattutto in base alla Pasqua – si connetta con la decisione pro o contro lui, nel quale il regno di Dio è già iniziato: e l’attesa prossima si è già realizzata. Pasqua significa, quindi, anche: colui che invita alla fede è divenuto il contenuto della fede stessa, l’annunciatore è divenuto l’annunciato, come suona la nota formula cristologica. Ciò, quindi, significa, che: il Gesù umiliato, in quanto ora elevato presso Dio, è divenuto la personificazione del messaggio del regno di Dio, la sua abbreviazione siglata, se così si vuole. Invece della precedente espressione «annunciare il regno di Dio», dopo la Pasqua si prese a usare sempre più insistentemente l’altra: «annunciare Cristo». E coloro che sperano nel regno di Dio e credono in Cristo vengono, in breve, chiamati i «cristiani». Egli, il risuscitato alla vita, e il suo Spirito, che è lo Spirito di Dio, rendono possibile l’essere cristiani.

c) Resurrezione significa lotta di tutti i giorni contro la morte: noi tutti sappiamo, e filosofi come Heidegger, Jaspers, Sartre, Bloch, Adorno e Horkheimer ce l’hanno continuamente inculcato: come non c’è soltanto una vita dopo la morte, ma anche una vita prima della morte, così non c’è soltanto la morte alla fine della vita, ma anche la morte di uomini nel mezzo della vita. E la morte dell’assenza di rapporto dell’uomo con gli altri uomini, la morte dell’impotenza e della mancanza di parola, la morte dell’anonimato e dell’apatia, la morte del deperimento e della deformazione spirituale, la morte dello stordimento e del consumo. Ci sono molti modi di uccidere, scrive Bertolt Brecht: «Si può conficcare a uno un coltello nel ventre, togliere a uno il pane, non guarire uno da una malattia, relegare uno in un’abitazione malsana, sfruttare uno con un lavoro micidiale, spingere uno al suicidio, trascinare uno alla guerra ecc. Soltanto poche di queste cose sono proibite nel nostro Stato». Credere nella resurrezione, perciò, non significa coltivare un ottimismo a buon mercato, nella speranza di un lieto fine;

* significa piuttosto testimoniare, in maniera del tutto pratica, che in questo mondo di morte la vita nuova di Gesù ha infranto il dominio universale della morte, che la sua libertà si è imposta, la sua via ha condotto alla vita, che il suo Spirito, che è lo Spirito di Dio, è all’opera;

* significa prendere partito per la vita, ovunque questa venga ferita, danneggiata, distrutta;

* significa opporsi praticamente all’impoverimento delle relazioni interumane e sociali e ribellarsi alla morte quotidiana con aiuti spontanei alla vita e con miglioramenti strutturali delle condizioni di vita;

* significa, nella fiduciosa anticipazione del regno della libertà promesso anche a noi, infondere nelle persone speranza, forza e disponibilità all’impegno, così che tra noi la morte non conservi l’ultima parola.

Dorothee Sille si è continuamente impegnata, in questo senso, a decifrare il tema della resurrezione in funzione della situazione del nostro mondo. Qui si tratta della connessione tra l’esperienza della resurrezione e l’esperienza della liberazione degli uomini: «Se noi, come nella liturgia della notte di Pasqua, ci gridiamo “Cristo è risorto, egli è veramente risorto”, il nostro grido vuoi dire “Liberazione” e noi ci troviamo uniti alle persone sfinite, distrutte, ai poveri. Noi diciamo “Egli è risorto” e pensiamo che siamo sazi, amiamo la nostra madre, la terra; noi costruiamo la pace con tutta la nostra vita. Noi trasformiamo le spade in aratri. Si deve individuare nella nostra vita la forza di quello che significa la resurrezione. Dobbiamo riappropriarci parole come “resurrezione, vita dalla morte, giustizia” e verificarle nelle nostre proprie esperienze. Se abbiamo reso nominabili le nostre esperienze, noi possiamo descrivere la nostra vita nel quadro dei grandi simboli della nostra tradizione: noi pure siamo stati in Egitto, noi pure sappiamo che cosa significhi la parola “esodo”, noi pure conosciamo il giubilo dell’essere liberati: del risorgere dalla morte. Solo ciò che dell’esperienza cristiana abbiamo reso noi stessi parte della nostra vita, uò essere anche trasmesso, diventa comunicabile anche ad altri».
Si comprende ora che cosa io intendessi, nelle osservazioni ermeneutiche preliminari a questo secondo blocco di lezioni, con l’espressione «verificazione indiretta» della fede nella resurrezione, con la conoscenza, rapportata all’esperienza, della vita eterna: le nostre concretissime esperienze umane confrontate con e interpretate, illuminate mediante la speranza biblica nella resurrezione. La speranza nella resurrezione non riveste, quindi, una funzione consolatoria, ma piuttosto critico-liberatoria. E che cosa significhi la speranza nella resurrezione in quanto protesta contro la morte, ce lo spiega una poesia del parroco e scrittore svizzero Kurt Marti:

Potrebbe far comodo ad alcuni signori
Che con la morte tutto fosse saldato:
Il dominio dei signori
La schiavitù dei servi
Sarebbero confermati per sempre
Potrebbe far comodo ad alcuni signori
Rimanere signori per l’eternità
Nel costoso sepolcro privato
Mentre i loro servi
Scivolano in economiche tombe in serie
Ma invece arriva una resurrezione
Che è del tutto diversa da come l’immaginavamo
Arriva una resurrezione che è
La rivolta di Dio contro i signori
E il signore di tutti i signori: la morte.

Ciò significa che la protesta contro la morte in virtù della speranza nella resurrezione è insieme una protesta contro una società, nella quale la morte senza questa speranza viene sfruttata per la conservazione di strutture ingiuste. Qui non vengono messe in questione la subordinazione e l’autorità in sé, ma il dominio e la schiavitù, che si rivelano micidiali per entrambi, per il signore come per il servo, per il padrone come per lo schiavo. La speranza nel risuscitamento, nella resurrezione dai morti diventa qui la critica a una società segnata dalla morte, nella quale i «signori» – grandi e piccoli, secolari ed ecclesiastici – possono sfruttare impunemente i loro «servi», impunemente, perché essi, su questa terra, erigono se stessi ad autorità, norma e verità, così che per essi, in pratica, non c’è più una superiore istanza di giustizia, una «superior auctoritas». La speranza nel risuscitamento, nella resurrezione, rivendica questa giustizia, diventando così un’inquietudine critico-liberatrice in mezzo agli uomini: essa destabilizza i rapporti di dominio, che qui e ora si ritengono definitivi, e fa apparire ragionevoli i rapporti di vicendevole servizio, in cui viene «esaltato» soltanto colui che si è «umiliato», in cui non soltanto l’inferiore deve servire al superiore, ma anche il superiore all’inferiore.
Il risuscitamento, la resurrezione ha un senso compiuto, oggi e ora, soltanto quando viene pensato nell’orizzonte del risuscitamento, della resurrezione domani e là. La tradizione cristiana conosce al riguardo due simboli, l’uno positivo e l’altro negativo: cielo e inferno. Che cosa significhino, non è una questione semplice e sarà l’oggetto della prossima lezione. (135-140).

 

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.