IO E DIO

Il concetto di Assoluto, ab-solutum come sciolto, è proprio di Dio, ma una volta che egli si costituisce come persona si relaziona, e questo implica la fine della sua assolutezza, e l’inizio della relazione. Il Dio della Bibbia presenta la sua assolutezza all’inizio di Genesi, quando il suo Spirito aleggia sulle acque primordiali, ma nel momento in cui pronuncia la sua Parola creatrice, egli non è più “sciolto” nei confronti della sua opera, ma intimamente connesso ad essa. Non c’è passo nelle Scritture in cui Dio non si pone in relazione con qualcuno: egli comincia ad esercitare la sua opera fin da subito e da subito è un Dio relazionato con Adamo ed Eva, passeggia in giardino, li scaccia, cerca Caino, si adira con l’umanità, parla con Noè, col popolo di Babele, con Abramo nel deserto, coi patriarchi, con Mosè, e ha perfino bisogno di un popolo per rendere più completa una relazione, altrimenti monca, con tutti gli uomini del mondo. E ci sta pure stretto nel tempio di Gerusalemme, ove è costretto a manifestarsi ad un solo sommo sacerdote una volta l’anno, lui che la Sacra Scrittura ci tramanda come un Dio continuamente in cerca di comunicazione con l’uomo, ora con leggi, ora con prodigi, ora blandendo ora punendo. Un Dio comunicatore, mai muto, mai inattivo, sempre vivo e presente nella storia, che non va intesa semplice Rivelazione, ma una più profonda testimonianza del bisogno dell’uomo di avere riconosciuto il ruolo di interlocutore primario di Dio, che senza l’uomo sarebbe ASSOLUTAMENTE SOLO. Con Gesù questo primato viene definitivamente sancito nella Incarnazione, Dio che viene ad abitare nel corpo dell’uomo, prende dimora nel mondo, squarcia i cieli e il velo del tempio, forte di un amore incontenibile che nessun cielo o tempio possono contenere, e la relazione o logos prende definitiva forma nel cuore umano. Gesù ci mostra che senza relazione è impossibile conoscere e comprendere Dio, e tutto quello che lui fa, lo fa in funzione di stabilire un contatto tra il divino e l’umano, avvicina cosi tanto Dio all’uomo da portarglielo accanto, nelle strade, nei villaggi che attraversa, incontrando ammalati, parlando con gli esclusi, sanando storpi e paralitici. E non importa se trasgredisce leggi divine o sabati, o riti di purificazione, poiché per Dio in terra non ci sono ostacoli insormontabili quando decide di rapportarsi con l’uomo. Se ha squarciato i cieli, figuriamoci i codici umani! Egli affonda la sua mano a toccare e sanare tutto ciò che impediva la relazione diretta con Dio, scaccia i mercanti dal tempio, abbatte gli steccati religiosi, sconfessa i sommi sacerdoti intermediari di una falsa relazione con Dio, tuona contro il potere che opprime e soffoca la crescita umana e impedisce la reale conoscenza con Dio. E sul Monte delle Beatitudini proclama i comandamenti nuovi per instaurare con Dio, non più onnipotente e assoluto, ma Padre misericordioso, una relazione che non sarà tra un Signore e i suoi servi, ma tra un Padre e i suoi figli. Mentre la prima esperienza di Dio è stata quella di un Signore che tutto volgeva a sé in una relazione impari e basata sul potere con dei servitori, adesso Gesù ci mostra la vera faccia di un Dio che è Padre e fonda la sua relazione sull’amore. Tale amore trova la sua massima espressione nella morte in croce dell’uomo che riesce a manifestarla nella pienezza più completa, nel Gesù che morendo in quel modo dice agli uomini che tutto è possibile per chi sa amare veramente, anche sopportare il patibolo più infamante e la sofferenza più cruda. E’ l’amore, che rende la relazione di Dio con l’uomo sempre possibile, purché l’uomo sia sempre pronto ad accogliere questo dono divino e mostrarlo agli altri. Possiamo fare esperienza di un Dio vivente, non nei luoghi sacri e di adorazione, non accostandoci ai tabernacoli, ma tendendo l’orecchio e lo sguardo al fratello, al prossimo, al mondo che abbiamo avuto in consegna e che dobbiamo custodire. Dio si fa relazione perché per essere deve personalizzarsi, non in senso antropomorfico, ma in persona, che significa sono-per, e noi esistiamo come persone se siamo per qualcuno, se esistiamo, se ci facciamo relazione. E questo è possibile se siamo capaci di uscire da ciò che ci delimita fisicamente come solo corpo pensante e appesantito dai personali bisogni e necessità, e ci superiamo per incontrare gli altri. E facendo questo ci liberiamo, usciamo dal nostro ingombrante egoismo e vincendo il mondo, incontriamo Dio nell’altro. Ecco come si cresce in umanità e pienezza, e come ognuno di noi può diventare tempio e sacrario di Dio da cui irraggia il suo amore.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.

Una risposta a “IO E DIO”

  1. La relazione è la forma base con cui si realizza tutto nel cosmo, ogni cosa è relazione. Dio, che è il cosmo, è relazione, ed è amore. Egli non può che essere relazione, rapporto con un altro e l’altro siamo noi, tutti noi in Dio ci realizziamo. In Lui è concentrata l’idea di uomo e noi, mettendoci in relazione col suo amore, realizziamo quel pezzetto di umanità che possiamo, noi accogliamo l’umanità infinita che è in lui e ne traiamo la nostra. Dio ha quindi bisogno di noi, di ognuno di noi, perché Lui, immenso, infinito, possibilità, forma, possa far produrre umanità. Lui come attrattore di uomini. Perciò Lui è amore gratuito, perciò Lui va verso noi e noi dobbiamo accoglierlo per realizzarci. Il comandamento che lui ci dà non è il semplice “volerci bene” nel senso dell’affetto. L’amore è il terreno di coltura dove deve svilupparsi la nostra maturazione di figli di Dio. E la strada maestra perché ciò avvenga è la comunità, amarsi gli uni e gli altri dell’amore agape, che dona la propria pienezza, ma anche riceve la pienezza degli altri, senza perdere nulla ma addizionando pienezza a pienezza. La comunità è la fucina per questa umanità nuova che deve essere realizzata. Perciò il messaggio di Gesù è un messaggio di realizzazione umana nella dimensione dello spirito, perciò Lui si mette al nostro servizio, come fece Gesù, perché possiamo rispondergli. Perciò il vero ed unico peccato è quello “contro lo spirito” che significa dire no alla realizzazione umana, a divenire suoi figli a realizzare il regno. E Gesù non è altro che l’archetipo, la matrice, l’esempio di ciò che possiamo diventare. Detto questo in questa ottica il “paraclito” è colui che sostiene la nostra realizzazione una volta che abbiamo dato l’assenso, abbiamo detto di sì, è la somma degli interventi divini in nostro favore, è come un angelo custode che ci fornisce energia e sostegno, è il nostro spirito, la nostra realtà più preziosa, che sarà sempre con noi, perché non perdiamo ciò che abbiamo realizzato.

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