Il tempo

Oggi vi parlerò di me, a pochi giorni di un fastidiosissimo genetliaco, del mio tempo che passa, della clessidra che scorre verso l’imbuto e dove alla fine trovi ammassati ciò che resta del tuo tempo, che nessuno può cambiare.

No, non scrivo per nostalgia, né per passatismo, né per ancorarmi al passato per mancanza di certezze future.

Scrivo di queste cose perché mi sono accorto che più passano e aumentano gli anni, più veloce corre il tempo e ancor più veloci gli anni.

Strappi i fogli del calendario a gennaio e come nulla fosse ti ritrovi al dicembre successivo, come se avessi fatto un breve sonno accompagnato da un sogno vacuo e ti svegli la mattina intronato ma immerso in un nuovo giorno.

Vedrai mi dicevano quelli più grandi di me, vedrai che verso i 50 anni troverai ammassati i ricordi che si presenteranno tutti assieme come in un disordinato magazzino in cui tu cercherai di mettere ordine, ma inutilmente, sarà impresa improba.

E allora dovrai accontentarti di soffermarti su ciò che man mano ti va balzando all’occhio e ti ritrovi fra le mani, come un libro letto in fretta, scolorito, ma vivo e pregno di sensazioni, emozioni, passioni, gioie, sconforti e lacrime.

Così vedrai un bambino magro e pallido in grembiule nero e fiocco azzurro rincorrere in un cortile della scuola un altro bambino di cui non vedi il volto, i grembiuli neri che si sfiorano e impertinentemente andare a svolazzare accanto a dei grembiuli bianchi di quella ragazzina che volevi ti notasse e trovarti compagna di giochi alla villa comunale, o per strada.

E poi armeggiare in una cabina telefonica in attesa che arrivasse quella mora con una biondina che tanto piacevano a te e al tuo amico del cuore, al punto di vaneggiare chissà quali cavalleresche avventure vivere come principi azzurri accanto a quelle che erano le amate principesse prigioniere dei tabù dell’età e ostaggio delle nostre paure infantili.

Non c’è niente da fare, non puoi resistere al tourbillon di pensieri e foto e scene che come sfocate pellicole saltano alla memoria aprendone uno ad uno i cassetti e tirando fuori il meglio o il peggio che c’è.

Ad un tratto ti vedi adolescente guidare quei motorini senza targa e senza patente, perché così era negli anni 70, e noi che ci sentivamo padroni del mondo perché scorrazzavamo liberi e felici, anche se in certi momenti ti prendeva quella malinconia esistenziale tipica dell’età che non conosceva pudore e vergogna, ed eri pronto a parlarne e confidarti con l’amico del cuore, col quale condividevi quasi tutto e tutto il niente che possedevo.

In quegli anni ’70 che succedevano ai mitici anni ’60, tutto era fantastico e non sappiamo il perché.

Persino quegli orribili pantaloni a zampa di elefante indossate da uomini e donne, che per fortuna trovavano il loro contrappeso nelle vertiginose minigonne delle ragazze ma anche di certe signore, che se erano dietro una cattedra provocavano un continuo tremolio dei banchi di scuola con relativa caduta di biro per terra e faticosi raccolti di esse sparse per terra. L’occhio indugiava dove gli ormoni li dirigevano…

Quando arrivarono gli anni 80 si cominciò a rimpiangere gli anni ’70, ma lo stesso successe nel ’90, perché è sempre stato così che i bei tempi sono solo quelli andati.

Eppure eravamo giovani felici non solo per l’età ma perché sapevamo cercarla la felicità: un juke box con la canzone preferita, il fresco sapore di una birra in compagnia, la trasgressione della sigaretta o della canna, i capelli lunghi e le barbe.

Ma questo vale anche oggi, eppure perché si rimpiangono quegli anni?

Per l’età che ormai ci soverchia e comincia a stringere il nodo, o perché il passato che abbiamo alle spalle siamo certi di averlo vissuto mentre nulla sappiamo del futuro che attende?

Si è sempre cercato un modello di passato a cui far riferimento e aggrapparsi ad esso spesso è l’unica ancora di salvezza per non cadere nella depressione di un tempo incerto e poco futuribile.

Era così durante l’impero romano in cui si rimpiangeva la repubblica, oppure successe lo stesso a Carlo Magno quando volle restaurare quello stesso decaduto impero.

Ma anche il medioevo seppe guardare alla grandezza di quel tempo antico e ne scoperse la classicità nei secoli futuri con l’umanesimo e il neoclassicismo dell’800.

Adesso andremo avanti, spinti dal tempo che passa come inerte foglie che staccate dai rami vengono spinte lontane dall’albero e dalle sue radici dal vento degli anni che passano. Sta a noi non farci calpestare dal tempo.

Noi che aggrappati a sottili malinconie e a perfide nostalgie, cerchiamo di addolcire quel sorriso un tempo radioso affinché non si spenga del tutto dietro la ruga del volto.

Siamo noi che con ampia fronte sfidiamo il giorno che sorge, ad onta di quella odiosa calvizie che arretrando sulla nostra testa, sembra voler ampliare gli spazi di una fronte che non vorremmo mai corrucciata.

Nostalgia, dolore di un ritorno, che non succederà, e se succedesse sarebbe così impietoso che mostrandoci le differenze di ciò che siamo con ciò che eravamo rimarremmo schiacciati dal nostro stesso peso.

Abbiamo fatto errori, scelte sbagliate e fuorvianti, escluso persone dalla nostra esistenza e siamo stati esclusi dall’esistenza di altri, eppure siamo qui, sempre col desiderio di ricominciare a costruire qualcosa di nuovo e diverso.

Magari asserragliati nella solitaria fortezza del proprio io, non per egoismo, ma per autodifesa dopo le numerose ferite inflitte dall’esterno, cicatrici che hanno sanguinato, alcune rimarginate, altre ancora dolorose. Ma guariranno, eccome se guariranno!

Ecco perché c’è bisogno di invecchiare con delicatezza, lentamente, affinché ogni mattina l’immagine di sé riflessa non sia deturpata dalle pieghe del tempo, ma ci faccia accettare ciò che la vita con generosità sa donarci ogni giorno di più. Bisogna solo tenere gli occhi aperti, non all’indietro ma in avanti, affinché guardando quel sole che sorge ad est si riesca a sperare sempre che sia foriero di salute e serenità.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.