Il Messia e il regno

Se c’è una immagine sbagliata con cui Gesù ha dovuto fare sempre i conti, questa è l’idea del messia che gli ebrei del suo tempo avevano coltivato come una vera e propria aspettativa nazionalista, vero satana da cui era difficile liberare le menti di quel popolo che portarono alla fine le masse deluse ad urlare “Crocifiggilo, crocifiggilo” davanti al pretorio romano. Quali erano infatti le aspettative del popolo ebraico nei riguardi del loro Messia? Essi aspettavano il Messia che avrebbe restaurato il Regno di Israele, che avrebbe sancito la superiorità di questo popolo, finalmente eletto, su tutte le nazioni pagane, così come era contenuta nell’antica promessa: i riferisce a un leader umano, discendente fisicamente dalla  stirpe di David he governerà e unirà il popolo di Israele  e che lo condurrà verso l’Era Messianica  di pace globale e universale. Il Messia ebraico, a differenza di quello cristiano, non viene considerato divino e non corrisponde alla figura di Gesù di Nazaret nelle aspettative messianiche ebraiche. Ecco perché durante la sua andata a Gerusalemme Gesù viene accolto trionfalmente quasi dal popolo che lo osanna: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». (Mt 21.9)

Ma Gesù non è il figlio (hyos) di Davide, anche se della stessa stirpe (spermathos), egli non somiglia al re davidico violento e assassino. Ma è condottiero pacifico, che chiede agli altri di aderire non ad una ideologia violenta, ma ad una rivoluzione interiore che faccia di essi uomini liberi da sé stessi e pronti al regno della solidarietà, della condivisione, del servizio. Gesù è un messia che non viene con le armi del conquistatore, ma con una offerta di vita nuova per tutti: “Il dono che Gesù offre è pienezza di vita per l’uomo affamato. Gesù sazia non solo la fame materiale, ma quella più profonda, la fame di senso della vita, la fame di Dio”.  (papa Francesco, Angelus).

L’immagine messianica che Gesù offre ai suoi discepoli, di un messia non violento che instaurerà, non un regno di Israele prepotentemente basato sulla forza e sul dominio dei popoli, ma il Regno di Dio fondato sull’amore e donato a tutti universalmente, sembra un concetto indigeribile per i suoi discepoli.

Gesù è ben attento a non confondere la sua missione con quella dei Messia politici del suo tempo e per questo arriva al punto di zittire i demoni che affermavano chiaramente la sua identità di Figlio di Dio: “Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano (Mc 1,34). Figlio di Dio infatti è un concetto collegato a quello di “Messia”, sebbene avente un ovvio significato più alto, che assorbe quello di Messia in una concezione umano-divina del tutto nuova per l’Ebraismo.

Gli esegeti si riferiscono alla prudenza di Gesù nel non rivelarsi immediatamente, con l’espressione di segreto messianico. Questo consisterebbe secondo gli storici in disaccordo però tra di loro, sul fatto che Gesù cosciente della propria missione, impedirebbe a coloro che egli guarisce dalla possessione della ideologia del messia nazionalista che avrebbe liberato Israele dai Romani, di rivelare chi egli sia. In realtà questo avviene sempre dopo che egli è già riconosciuto figlio di Dio dagli stessi “esorcizzati”, per cui l’imposizione del silenzio sembra giungere tardivo ed inappropriato. E’ certo però che la preoccupazione principale di Gesù a tale riguardo non è quello di mantenere “il segreto”, ma evitare che la sua figura e la sua missione di predicazione del Vangelo come buona notizia per gli oppressi e l’umanità tutta bisogna, fossero confuse con le attese politiche del popolo di Israele che dai tempi degli antichi profeti attendeva il suo Messia liberatore dalla tirannia dei popoli pagani su di essi.

Per di più l’dea di un messia destinato a morire sul patibolo della croce, crea sgomento e incredulità tra i suoi discepoli e molti lo abbandonano. Gesù chiede loro: “E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno”.(Mc 8,29) Questa risposta dimostra chiaramente come i discepoli di Gesù siano anche essi impregnati di ideologia nazionalista messianica e per questo Gesù impedisce loro di parlarne. Pietro infatti alla domanda risponde “tu sei il Cristo” con l’articolo determinativo, che è l’artificio letterario che gli evangelisti usano per designare il messia del popolo atteso dalla tradizione, e non l’unto figlio di Dio. Allora Gesù ordina” questo non lo direte a nessuno”, perché lui non è il messia atteso dalla tradizione. Gesù è Cristo, è il messia, ma in una forma completamente diversa da quello atteso. Egli non adopererà il potere, ma l’amore; non userà comandare ma si metterà a servizio. E questo provocherà lo scontro proprio con Simon Pietro. Colui che era stato definito ” pietra” da costruzione, su cui erigere la comunità, diventerà pietra di inciampo, di scandalo. Viene richiamato all’ordine da Gesù, addirittura additato come Satana, cioè avversario del suo progetto di vita, dopo che Pietro si era azzardato a rimproverarlo perché Gesù annunzia che la sua andata a Gerusalemme è il preludio della condanna e della sua morte, da parte degli Scribi, dei Sommi Sacerdoti, e dei Farisei.

 Il desiderio di un trionfo sui nemici di Israele impedisce loro di comprendere il messaggio di Gesù, e fedeli alla loro ideologia nazionalista, essi vogliono il loro Messia quello atteso e tramandato da una lunga tradizione, che agendo con segni portentosi come inviato da Dio, metta fine all’ingiustizia e vendichi e liberi gli oppressi.
“Non entra loro in testa quanto Gesù insegna, che cioè l’esistenza di una società nuova e giusta (tappa storica del regno di Dio), in cui non ci sia il dominio dell’uno sull’altro, non può essere opera di uno che si impone, ma responsabilità di tutti in quanto uguali (messianismo condiviso). (Juan Mateos).

Al tempo di Gesù, per i Farisei, la borghesia colta nazionalista apparsa sulla scena politica verso la fine del II secolo a.C., il Messia-Liberatore si sarebbe manifestato con segni inequivocabili  al momento opportuno: Mt 4,5 Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, 6 e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto:
Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra“». E la sua venuta doveva essere favorita dalla rigorosa osservanza della Legge da parte di tutto il popolo. Gli Zeloti, invece, una fazione nazionalista ancor più accesa ed estrema dei Farisei, ritenevano che occorresse in ogni modo favorire le circostanze dell’avvento del Messia, anche con il ricorso alla violenza. I Sadducei, la fazione più antica e moderata, per lo più composta dalle famiglie dell’aristocrazia sacerdotale, essendo relativamente disponibile a un pacifico inserimento della nazione ebraica nell’Impero Romano del quale, benché pagano e politeista, non disconosceva la superiorità culturale, militare e organizzativa, consideravano con realismo l’impossibilità che un Messia-Liberatore potesse restituire a Israele la sua indipendenza. Non sono chiare, infine, le caratteristiche delle attese messianiche in seno alla corrente spirituale degli Esseni. Si sa in ogni caso che essendo contro la violenza di ogni tipo, costoro avrebbero solamente partecipato alla fine dei tempi alla lotta finale dei figli della luce contro i figli delle tenebre. Sicuramente della corrente degli Esseni faceva parte Giovanni Battista. Lui che si era ritirato nel deserto come segno del rifiuto della società e di quel mondo immerso nella ingiustizia. Che viveva isolato e da eremita tra le sabbie e le rive del Giordano dove predicava la sua personale attesa messianica e il richiamo alla conversione di vita. La sua accusa dell’ingiustizia, la sua continua ossessione del peccato gli costò l’arresto e la testa ad opera di Erode Antipa che temeva una insurrezione popolare che lo avrebbe screditato agli occ hi dei suoi superiori romani e dell’imperatore. Gesù ha ricevuto i discepoli di Giovanni, mandati appositamente da lui che era già in carcere, per vedere se questo Gesù era il Messia che lui aspettava. Quale messia attendeva il Battista ? Nella sua predicazione Gesù veniva annunciato dallo stesso in questo modo: verrà il Signore, il Messia, e gli alberi che non danno frutto verranno tagliati e gettati nel fuoco. Niente di tutto ciò era il Messia che arrivava sotto le spoglie di Gesù. Un messia che dice di coltivare con amore tutti gli alberi, un messia che non era il figlio di David ma il figlio di Dio che manifesta agli uomini l’amore del Padre. Ecco perché i dubbi assaltano Giovanni, ed ecco perché Gesù dice ai discepoli del Battista di riferirgli quello che hanno visto: “i ciechi vedono”, chiaro invito al Battista e quelli come lui ad aprire gli occhi sulla nuova realtà messianica. Non più il peccato e l’Antico Testamento come liee guida da seguire per la conversione, ma il bene dell’uomo e la Nuova Alleanza (testamento significa patto, alleanza) basata sull’amore e sul servizio. Se questo messaggio viene osservato a metà, da parte di chiesa in generale, religione e credenti, è perché rinunciando al peccato si rinuncia al potere che viene esercitato concedendo il perdono al peccatore, da parte di chi si sente chiamato a tale compito in nome di Dio e per suo conto. Se al centro della religiosità e della vita spirituale si mette il bene, allora tutto diventa servizio comune senza preposti a somministrare benedizioni e penitenze, e il potere del mondo che equivale al suo peccato “verrebbe finalmente tolto” definitivamente. Dove non ci sarà più potere allora sarà giustizia e pace. E quando in nome del bene dell’uomo tale giustizia e pace diventeranno realtà, allora in quel momento si realizza il regno di Dio.

“Non ci sarà una società nuova senza promozione umana di tutti e responsabilità di tutti”. (Juan Mateos).

Il regno di Dio non si realizza per miracolo e calato dall’alto, non si manifesterà con clamore suscitando stupore, ma agirà in sordina e in silenzio, come il seme che germoglia, e non sarà maestoso come cedro del Libano, bensì umile e modesto ma molto utile, come l’albero di senape che dà riparo e riposo a tanti uccelli tra i suoi rami fronzuti.

E alla costruzione del regno devono partecipare tutti coloro che accolgono la parola di Gesù, e la fede che egli come Figlio dell’Uomo si augura di trovare è proprio questa, vedere i suoi eletti impegnati gratuitamente nella edificazione del regno e non preda degli interessi del mondo e del proprio egoismo. Tutto sta nel significato di regno di Dio.

C’è chi ancora lo cerca in cielo, da qualche parte nell’iperspazio siderale o al nono cielo empireo, quello del fuoco divino, e chi invece lo cerca nel mondo degli uomini che va migliorato, reso umano, regno di libertà e promozione umana, ove non esistono gli oppressi e i poveri che Gesù riabilitava durante la sua missione terrena.

Questo equivoco che risale alla versione del vangelo di Matteo, il quale per indicare il regno di Dio diceva regno dei cieli, per non offendere la sensibilità della comunità ebraica alla quale il vangelo era rivolto, rende differenti le visioni della fede e della vita tra  quelli  devoti alla dottrina, e noi che interpretiamo la parola del vangelo alla luce delle esegesi e dello sviluppo dello studio biblico moderno senza paura di eresia, anzi. Così  alcuni intendono il regno come qualcosa da cercare a scapito delle realtà del mondo, da fuggire e tenere distanti perché foriere di peccato.  E il regno sarà il premio finale e lontanissimo di tanta devozione e magari sofferenza. E come i discepoli ideologizzati pensano ad un ritorno di Gesù che punirà i cattivi e premierà i buoni, visione escatologica riduttiva ed elementare, ridurre il tutto ad un misero giudizio di merito e demerito.

Altri crediamo invece che il regno di Dio è il regno umano della pienezza, che si instaura per il lavoro instancabile (siate vigilanti, dice Gesù ai suoi) dei seguaci della parola di Gesù, che operano accanto al Padre per rendere il mondo il regno della piena realizzazione dell’uomo, che nella sua umanità contenga così anche il divino, proprio come era Gesù.

Ecco perché pensiamo che non ci sarà una sola e definitiva Parusia, cioè ritorno di Gesù nella gloria,  ma tante quanto sono le volte che nelle società disumane, chi opera per la pace e la giustizia riesce a capovolgere le situazioni in cui l’uomo e la sua dignità sono mortificate, e possa promuoversi invece la sua pienezza e maturità. Cade un regno di oppressione e di disumanizzazione e se si instaura un regno in cui trionfa pace e giustizia, e in tal modo  si ha la Parusia di Cristo ad annunziare il regno di Dio.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.

Una risposta a “Il Messia e il regno”

  1. Gesù non è il Messia che tutti si aspettavano, Gesù delude, non è l’uomo della forza, che ristabilirà l’ordine distrutto. Gesù è venuto a ristabilire un altro ordine, quello della natura umana sottoposata al caos del disordine dell’origine e dell’istinto. Un ordine che appartiene ad un’altra dimensione che non si vede e che ha altre leggi: l’amore, la fratellanza, la condivisione. L’ordine delineato nelle beatitudini non comprese e non realizzate ancora oggi. Difficile infatti è pensare che ognuno ha la sua parte di responsabilità nel mondo che va oltre il proprio interesse personale, difficile pensare nella dimensione che porta fuori di noi, difficile avere l’immagine dell’umile pianta di senape, e non il “maestoso Cedro del Libano”, dici bene, Gioacchino la Greca Difficile vedere il Regno su questa terra e non nei cieli dove il tempo deponeva ciò che aveva potere e comando. Concordo con te.

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