Le più grandi storie d’amore non hanno mai una conclusione banale, non si spengono mai in una misera fine fatta di mezzucci e vuote parole, ma vivono il loro alto sentire fino a sprofondare nell’abisso della perdizione del loro spegnersi alla vita.
E così tra Elena e Paride, Achille e Briseide, Ulisse e Calipso, Apollo e Dafne, Venere e Adone, Piramo e Tisbe, Eco e Narciso, Apollo e Giacinto, Orfeo ed Euridice, Enea e Didone, Paolo e Francesca, Giulietta e Romeo…
Provate ad immaginare una normale conclusione tra Enea e Didone, nel prosieguo della stessa trama dell’Eneide virgiliana, dove l’eroe lascia la regina per seguire il suo destino.
– Allora cara, non ti preoccupare, vado in Italia a compiere la mia missione tra quei selvaggi, sposo la regina e torno a trovarti, magari in viaggio di nozze, che dici?
– Ma certo caro, sarà una buona occasione per rivederci, io ti terrò sempre nel mio desideroso cuore.
Stai attento con quegli italiani zozzoni e selvaggi, non farli avvicinare troppo che pure puzzano. Noi quando si avvicinano alle nostre coste libiche li cacciamo indietro e li bombardiamo col fuoco greco. Non li vogliamo, come dice il nostro sacerdote baallista, Salvinus 1°.
-Grazie del consiglio cara, tornerò presto, tu tieni in ordine la grotta nel bosco, vedrai che ci tornerà utile per i nostri futuri incontri. E attenta a questi bruti, che ti gironzolano attorno. Adesso vado che le navi già hanno acceso i remi e spiegato le vele al vento.
ECCO, vi immaginate una roba così nel bel mezzo del canto QUARTO dell’Eneide? Da rabbrividire. Meglio lasciare la banalità alle cose umane.
Per fortuna i poeti sono immensi per saper rendere divine ciò che noi rendiamo superfluo.