Gesù è disceso dal cielo o è sbocciato sulla terra?

Gesù è disceso dal cielo o è sbocciato sulla terra?
Per Rocca 10/2013
Mi è pervenuta qualche tempo fa (8 aprile scorso) le lettera di un lettore di Rocca (Achille Pellegata) che dichiarava la sua perplessità di fronte ad alcune affermazioni cristologiche contenute nel numero 24 dello scorso anno e in una successiva risposta alla abbonata Lia Parisi.
Scrivevo nel n. 24: “Gesù non scende dal cielo ma nasce dalla terra, non è Dio che si nasconde in un uomo e neppure un uomo che diventa Dio. Gesù è un fiore che Dio fa sbocciare sulla terra attraverso la fedeltà di un piccolo resto d’Israele e che raggiunge in Lui una forma tale di amore da avviare una nuova fase della storia umana”. Spiegavo che “la realtà umana di Gesù non scende dal cielo, bensì fiorisce dal ‘tronco di Jesse’, radicato nella terra”. “In questa prospettiva il processo della incarnazione, che ha raggiunto in Gesù un vertice sublime, continua ancora nella storia. Tutto questo però accade solo se creature umane sono in grado di accogliere e tradurre in forme concrete e storiche lo stesso Amore che si è espresso nell’evento di Cristo. Farne memoria per noi è celebrare l’inizio di un processo in cui noi stessi siamo inseriti non come semplici spettatori o componenti passivi, ma come attori responsabili”.
Quando poi nella risposta ho aggiunto che l’attribuzione all’umanità di Gesù dell’azione creatrice o di una preesistenza era possibile solo attraverso lo stratagemma letterario della ‘comunicazione degli idiomi’, il Signor Achille ha chiesto di “allargare questi concetti, in modo che anche i meno addentro nella ricerca teologica (tra i quali anch’egli si pone), possono farsene una ragione”.
Penso sia opportuno riprendere il tema perché i problemi sollevati sono avvertiti da molti.
La formula ‘discese dl cielo’ riferita al Verbo di Dio e anche a Gesù è molto comune perché si trova nel simbolo niceno costantinopolitano recitato nella liturgia festiva: “Credo in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli ….. per mezzo di lui tutte le cose sono state create… Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”.
In senso proprio, tuttavia, le formule non hanno come soggetto l’uomo Gesù bensì il Verbo o Parola (Logos) di Dio. Descrivono un’azione divina che si svolge nella storia umana attraverso creature.
In queste espressioni sono presenti due distinte operazioni linguistiche: la prima è l’uso della terminologia spaziale propria delle realtà materiali in riferimento ad azioni divine che non sono materiali; la seconda è la ‘comunicazione degli idiomi’ per cui si attribuisce a Gesù Cristo (nella sua umanità) azioni e qualità proprie del Verbo eterno (come la creazione e la preesistenza).
Mentre però la spazialità di Dio nell’antichità era intesa in senso proprio, perché si pensava che Dio avesse un luogo di residenza e occupasse uno spazio, la comunicazione degli idiomi invece già allora era un’estensione retorica utilizzata in contesti prevalentemente simbolici e poetici come ad es. nei primitivi inni liturgici di cui qualche eco ci è pervenuto già nelle lettere paoline (1 Cor 8,6; Ef. 1, 3-14; Fil. 2., 5-11; Col. 1, 13-20). Oggi esse sono ambedue stratagemmi letterari di tipo traslato che rischiano di venire interpretati in senso errato. Esaminiamole separatamente.
La terminologia spaziale
L’espressione ‘discese dal cielo’ quando è sorta, aveva un senso proprio in quanto si pensava a Dio con categorie spaziali. Si credeva infatti che Dio abitasse in un luogo al di sopra delle sfere stellari, del sole e della luna. Dal suo luogo Egli poteva osservare ciò che avveniva sulla terra, poteva accostarsi agli uomini o ritirarsi. Per gli ebrei il cielo era il luogo della dimora divina (1 Re 8,30.39; 2 Cr 6, 21.30). Spesso nella Scrittura il termine cielo indica Dio stesso per una figura retorica molto comune. Le epifanie divine descritte nella Bibbia avvengono sui monti o con segni nell’atmosfera che sovrasta la terra. Anche nel N.T. la voce del Padre viene dal cielo (Lc 3,22; Gv 12,28) e l’angelo del Signore scende dal cielo (Mt 28,2). La stessa formula della preghiera insegnata da Gesù inizia indicando il luogo della dimora divina: “Padre nostro che sei nei cieli” (Mt. 6,9). Spesso soprattutto in Matteo Gesù si riferisce al “Padre mio che è nei cieli” (Mt. 16,17) o al “Padre vostro che è nei cieli” (Mt. 5,16. 45; 6,1; 7, 11 18, 14 ecc.); parla del mio o del vostro Padre celeste (Mt 18,35; 5,48; 6,26. 32; 15,13 ecc.). Quando prega Gesù leva gli occhi al cielo (Gv. 17,1). Anche l’ira di Dio si rivela dall’alto del cielo, secondo Paolo (Rom 1,18). Giovanni può dire che “nessuno è salito al cielo all’infuori di colui che disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è nel cielo” (Gv 3, 13). Si potrebbero moltiplicare le citazioni della Scrittura per pagine intere.
Oggi la formula viene intesa e quindi utilizzata in senso metaforico. Ci riferiamo infatti a Dio come spirito che non ha dimensioni spaziali e che è presente ovunque agisce e nella misura in cui la sua azione è accolta. Come creatore infatti è continuamente presente in ogni creatura, come salvatore è in coloro che si aprono al suo amore traducendolo in gesti umani. Già in Paolo vi sono espressioni di questo tipo come quando ad Atene egli parla di Dio che “non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo” (At 17, 24) e aggiunge: “non è lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (17,28). Gesù stesso ha indicato questa presenza di Dio quando ai Sadducei ricordava che “tutti vivono per lui” (Lc 20,38).
La teologia scolastica ha poi precisato che Dio in quanto creatore non si muove nello spazio ma è presente ovunque e continuamente. San Tommaso d’Aquino (+1274) affermava che la creazione nella creatura è costituita dalla relazione di dipendenza continua dal primo principio e “non è altro che tale relazione” (Summa Theologiae 1a, q. 45, a 3). Non esistono perciò atti creativi successivi dato che una sola e medesima azione divina crea e conserva nell’essere le creature. Esse esistono solo in forza del loro rapporto costante con Dio. La creatura “è sempre in relazione con Dio” (De potentia, III, 3 ad 6) che perciò è sempre presente dove una creatura esiste ed opera.
Per quanto riguarda gli uomini la presenza divina può soffrire limiti e rifiuti a livello consapevole e libero. La dimensione spirituale della persona, infatti, cresce secondo il grado di consapevolezza e di accoglienza della azione divina. Può restare perciò embrionale per mancanza di cosciente e libero coinvolgimento. Ogni azione infatti può essere riflesso dell’azione creatrice di Dio quando la persona si apre ed accoglie lo Spirito. Il compimento del processo salvifico si realizzerà quando “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor. 15,28) come si esprime San Paolo.
Comunicazione degli idiomi
La presenza divina nella storia umana è costituita dalle creature che rivelano la sua ‘gloria’ cioè la sua perfezione e che manifestano il suo amore. Dio non scende dal cielo ma è presente nella storia ovunque riesce a far fiorire l’umanità in forme nuove. Se diciamo che “Dio viene” (cfr Ap. 1,8) vogliamo intendere che la sua azione diventa azione di creature che lo rivelano. A proposito di Gesù quando diciamo che è venuto sulla terra intendiamo dire che attraverso la fedeltà di un piccolo resto di Israele che lo attendeva, Dio è riuscito ad esprimere la potenza della Parola nel “suo servo Gesù” (At. 3, 13) al punto da renderlo capace di donare il suo Spirito. Dio “ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col resuscitarlo dai morti” (At 17, 31). Il soggetto trascendente dell’incarnazione non è Gesù, ma Dio. Tutta la Trinità santa è coinvolta. Gesù diventa espressione umana del Verbo di Dio, che in lui prende carne, è plasmato dallo Spirito che lo rende rivelatore del Padre.
Se le cose stanno così perché le formule che utilizziamo parlano di Gesù Cristo disceso dal cielo? Per uno stratagemma retorico detto “comunicazione degli idiomi”, dove ‘idioma’ non significa linguaggio bensì ‘proprietà’ ‘qualità’ secondo il significato del corrispondente termine greco. Questa figura retorica è in azione quando si attribuiscono ad una realtà o natura le attività proprie di un’altra, in virtù di un rapporto più o meno profondo esistente fra di loro. Negli eventi della storia salvifica centrati su Gesù esistono due distinti ambiti operativi: di Dio e dell’uomo. La creazione e la discesa dal cielo vengono attribuiti a Gesù Cristo per il rapporto profondo che l’uomo Gesù, nato nel tempo ha avuto con Dio nella storia salvifica dato che in Lui il Padre si è rivelato, il Verbo ha operato, lo Spirito si è donato. Per la stessa ragione chiamiamo Maria Madre di Dio benché sia certo che Dio non ha madre e che Maria ha svolto una funzione materna solo nei confronti di Gesù uomo.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.

2 Risposte a “Gesù è disceso dal cielo o è sbocciato sulla terra?”

  1. Il Logos verbo si incarna in un uomo, Gesù, che è frutto di questa terra, che nasce dal resto di un popolo fedele al progetto originario di Dio, in Lui il Padre si è rivelato, il Verbo ha operato, lo Spirito si è donato. Dio che è puro spirito, che si rivela alle creature donando vita, e le creature sono salvate quando accolgono la sua azione creatrice e la trasmettono agli altri in gesti che comunicano vita, cosi come si caratterizzava l’azione di Gesù. Quindi non un Dio da adorare passivamente in attesa di un ritorno, ma un Dio che chiede di attualizzare la sua azione unica e irripetibile nella realtà e nella storia che ci vede protagonisti attivi e non passivi. La nostra spiritualità cresce nella consapevolezza di essere capaci di accogliere questa azione divina, non certo e non solo nella contemplazione misticheggiante e pia di chi pensa a santificare se stessi e dimenticare il prossimo. e’ NOTA LA STORIELLA DELLA SUORA CHE SI GLORIAVA CHE DA QUANDO AVEVA INTRAPRESO UN CERTO “CAMMINO SPIRITUALE” non sopportava più le sue consorelle che la distraevano dal suo rapporto con Dio. Questo è un atteggiamento che Gesù condannava, non bisogna innalzarsi per incontrare Dio, ma è Dio che si abbassa ad incontrare l’uomo quando questi riesce a renderne manifesta la sua gloria andando incontro ai bisogni del prossimo ( confessiamo questo nostro principale peccato di egoismo, spesso non dettato da cattiva volontà ma da concreto impedimento).

  2. Credo si potrebbe anche azzardare una ipotesi o una riflessione. Se Gesù è un frutto di questa terra allora non è dissimile da noi, che siamo frutti come lui. Tutti siamo portatori e incarnazione del progetto di Dio, tutti abbiamo la possibilità di accogliere più o meno in pienezza l’energia creatrice del Padre, e tradurla in gesti e azioni di vita. Ciò che caratterizza Gesù è la sua capacità di essersi votato completamente e di essere stato capace di accogliere pienamente, l’azione dello Spirito, cosicché non a frammenti e piccole porzioni, come succede a noi creature limitate, ma totalmente si è aperto alla azione vitale del Padre celeste. Egli è stato cosi la primizia di un albero innestato sull’uomo che ci ha mostrato la via della spiritualizzazione dell’uomo, che con il completo dono di se stessi agli altri, rende visibile la gloria di Dio. Ma questo grande dono che egli ci fa non finisce e non esaurisce i suoi effetti con lui, ma lascia aperte le porte della piena realizzazione e salvezza a tutti gli uomini che si aprono alla accoglienza dell’amore di Dio. Ecco perché ha lasciato detto che “se crederemo faremo opere più grandi delle sue”, perché per l’uomo sono spalancate, purché accolgano lo Spirito, le porte della divinizzazione, che ci restituirà alla originaria somiglianza con Dio: essere come lui spirito d’amore

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