Eucarestia per la vita

EUCARESTIA E VIA…

C’è ancora qualcuno che crede che Gesù è dentro l’ostia?
Se si, non legga queste poche righe.
Perché potrebbe rimanere sconvolto nello scoprire che la consacrazione non è un rito magico in cui il celebrante, di solito maschio, opera trasformando, seppur per azione dello Spirito Santo, il pane in corpo di Cristo.
Significherebbe con ciò, avere un Dio che si piega e si mette nelle mani di un “suo celebrante” che può così operare il miracolo di trasformare un pezzo di pane in un’altra sostanza, Transustanziazionando la farina in corpo di Cristo.
Se esaminiamo la composizione molecolare dell’ostia consacrata sempre farina troviamo, mica cellule di un corpo morto e risorto 2000 anni fa!
E se cade a terra l’ostia, Gesù non si frattura né prende freddo, così come se lo mastichiamo non gli spezziamo osso.
Il senso dell’eucarestia, del prendere l’ostia, non è una semplice devozione religiosa, una semplice commemorazione di un evento lontano nel tempo, di portare Gesù nel nostro cuore e custodirlo gelosamente.
Tutt’altro!
Gesù non va custodito, ma va condiviso.
Gesù non diventa proprietà esclusiva dei puri e dei degni, ma deve andare da chi puro non è e dagli indegni, per purificarli e renderli degni.
Pertanto, fare la comunione «non è tanto un atto di devozione e di amore, ma di coraggio, una presa di posizione, davanti alla comunità e davanti a Dio, di vivere più che per sé stessi per il bene altrui.
Significa dire davanti alla comunità: ecco, io indegno e peccatore, mi avvicino alla eucarestia per trarre forza dal pane eucaristico per cercare di trovare coraggio e capacità di diventare come colui il quale si è già fatto pane per noi (ndr)-. 
Mangiare il corpo di Cristo, come lui stesso dice ai suoi, invitandoli anzi a “masticarlo” per meglio assimilarlo, significa far propri la vita e gli insegnamenti che lui ci lascia. Non esempio da seguire e da emulare, ma vere e proprie azioni da compiere nel suo nome. Dare la vita significa farsi pane per gli altri, spezzarsi per il prossimo come lui spezza il pane dell’eucarestia, che non è dogmaticamente per transustanziazione il suo corpo, ma tutto quello che di lui rappresenta: le opere, l’insegnamento del comandamento nuovo, il servizio. Perché pane eucaristico non è solo quello celebrato nell’ultima cena e nelle cosiddette “moltiplicazioni” descritte nel vangelo che poi  sono delle condivisioni, ma anche l’azione della lavanda dei piedi, dove l’evangelista dice che dopo averli amati, li amò fino alla fine. Cingendosi il grembiule del servizio, Gesù ci dice che è quello il segno da dare al mondo per il quale capiranno che veniamo da lui: servire gli altri di un amore che deve essere simile al suo. “Amatevi come io vi ho amato”, diventa cosi il paradigma dell’amore tra gli uomini, che hanno come metro di misura l’amore illimitato che Gesù proclama dalla croce, dove fino all’ultimo respiro ama i suoi persecutori: “Padre perdona loro”. “Questo è il mio corpo”, la parola e l’azione di Gesù devono essere il nutrimento assimilato fino a farlo proprio del credente. Non credere a un dogma, peraltro discutibile, quando alle parole e ai gesti inequivocabili che i vangeli ci hanno lasciato.

Adesso a conclusione della nostra riflessione, eccovi un bel sunto di ciò che è l’eucarestia, tratta da uno come sempre chiarissimo Alberto Maggi, biblista ed esegeta:    

Il partecipare all’eucaristia non si conclude con il momento in cui si fa la comunione, ma quando questa comunione ci dà energia per farci pane per gli altri (Maggi A.); perciò ‘Fate questo in memoria’ voleva dire condividere la cena con gli altri. L’amore ricevuto dal Signore nell’eucarestia deve trasformarsi in amore comunicato agli altri: solo in tal modo Gesù si rivela presente ancora oggi. La memoria, dunque, non ha alcuna connotazione soprannaturale, ma è un ripensare a qualcosa d’importante che tocca, che commuove; si rivive l’accaduto psicologicamente sul presupposto che quel fatto che ci ha toccato emotivamente ci tocca di nuovo e ci fa agire. L’eucaristia dovrebbe essere l’espressione massima dell’altruismo, della generosità, del dono degli altri (Maggi A.).

5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.