Gli anni che passano, e son ben 59, ci regalano sapienza, esperienza, coscienza, maturità: Non solo acciacchi vari, tipo scrocchi alla schiena, vuoti di memoria, passaggi a vuoto, colpi perduti,… Così riflettevo oggi preso da insolita euforia sulla felicità e sulla sua mancanza, l’infelicità. Dicevo tra me e me che queste sono due abitanti dell’animo umano, due inquiline inquiete, che non coabitano ma si sfrattano a vicenda. Appartengono al nostro essere, alla nostra anima, al nostro vero sentire. Fateci caso: nessun uomo può possederle, ma solo essere e sentire: non possiamo dire “io ho la felicità”, ma “io mi sento felice”. Perché la felicità è un modo proprio dell’anima umana, della nostra psiche, del nostro spirito. E allora perché non siamo felici? Perché leghiamo la nostra felicità all’effimero, all’esaudimento di desideri che una volta consumati ci spingono a desiderare altro e oltre. Alziamo per natura infantile che ci è propria l’asticella dei desideri, e aspiriamo sempre più a quelli impossibili da realizzare, e una volta che non possiamo averli e realizzarli nasce l’insoddisfazione e la frustrazione. In altre parole ci sentiamo infelici e si manifesta la depressione e il male di vivere che ci toglie energia e azione. Allora come possiamo cercare di essere felici in questa vita? Aristotele che la sapeva lunga diceva che una delle condizioni per essere felici era la ” gnothi seauton”, la conoscenza di se stesso. Così come ribadiva Nietzsche nell’aforisma” Diventa ciò che sei”. La propensione alla felicità porta al buonumore, alla allegria, al clima positivo attorno: diventa insomma quasi un obbligo etico esserlo, perché chi è infelice genera correnti negative e auree poco attraenti nel clima che fa respirare agli altri. Quindi conoscendo meglio noi stessi, realizzando quello che ci è consono e si aggrada alle nostre forze e capacità, noi possiamo essere felici. Diciamo che dobbiamo difenderci dalla smodatezza dei nostri desideri, dagli inviti al possesso pensando che avere possa dare la felicità più dell’essere. Non è così, strada facendo mi vado accorgendo che il mio benessere psichico non deriva da quel che ho, che spesso mi possiede, ma da quel che sono capace di donare e da quel che effettivamente sono, dalla mia capacità di cercare il bene per me e chi amo, dalla mia vita buona, non condizionata dalle cose del mondo, che possono essere raggiunte o mancate. Il desiderio delle cose di questo mondo obnubila infatti l’offerta del mondo, che è molto più ricca e più varia delle cose che noi possiamo desiderare e perseguire, offuscati dalla brama del possesso. Felicità intesa come virtù, come capacità di governare se stessi, per riuscire a realizzarci. Questa è la misura dell’uomo.
Siate, siamo felici!