DERBY D’ITALIA

Ogni partita fa storia a sé, è indubbio. Ma Iuve Inter non è mai la solita partita, perché la storia ci ha profondamente divisi e fatto parteggiare per il potere da una parte e per chi vi lotta contro dall’altra. Non è solo teoria, ma la storia calcistica di un club non può essere scissa dalla storia vera del paese. Storia sociale, economica, politica. La Iuve della casa madre FIAT, ora emigrata in cerca di fortuna in USA, e che si chiama FCA, è sempre stata padrona del campionato italiano, e il numero degli scudetti parla da sola, ma come ogni conquista che  cela sofferenza e sudore, porta anche dietro sé invidie e inganni, giochi di potere e favori di palazzo, non Palazzi che quello se lo ricordano bene gli iuventini. Certo dominare il campionato italiano negli anni dell’anteguerra mussoliniana dove l’industria bellica era all’apice e casa madre FIAT foraggiava i gerarchi e Mussolini, non era complicato. “Agnelli sostenne con immediato opportunismo la formazione del Governo Mussolini (1922), ricambiato con la nomina a senatore del Regno (1923). Dopo il delitto dell’antifascista Giacomo Matteotti, l’industriale piemontese votò a favore del Duce la fiducia in Parlamento e, allo stesso tempo, intrattenne relazioni con il Regime, seppur in modo tale da sembrare per quanto possibile apolitico. In realtà, tra Agnelli e Mussolini non vi era simpatia e il sostegno reciproco fu dettato dagli interessi ( Angelo Forgione, Dov’è la Vittoria)”. La FIAT utile alla politica del Regime fascista battezzò in quegli anni la macchina più prodotta per uso del mercato interno con un nome che celebrava il ventennio: Balilla. “Senza gli Agnelli non parleremmo di gloriosa Juventus, regina d’Italia. La sua ambizione di vittoria è esattamente l’ambizione della famiglia: la brama di azzerare la concorrenza interna, costi quel che costi. È la Fiat che ha sempre ispirato la Juve, la cui supremazia non è mai stata endogena, ma indotta esternamente dall’azienda. Lo dice la storia: senza gli Agnelli, dal 1898 al 1923, periodo antidiluviano di monopolio calcistico settentrionale, il club bianconero ha vinto il solo titolo tricolore del 1905, “sbaragliando” la concorrenza di due squadre di Genova e due di Milano, e sarebbe addirittura scesa di categoria nel 1911 e nel 1913 se non vi fosse stato prima un blocco delle retrocessioni e poi un artificioso ripescaggio nel girone della Lombardia per evitare il minacciato scioglimento, dettato da gravi condizioni economiche dopo che nel 1906 alcuni soci erano fuoriusciti per fondare il Torino. Tra il 1924 e il 1935, nei 12 anni di Edoardo Agnelli, 6 scudetti. Dal 1936 al 1947, 12 anni di Juventus fascista, senza Fiat e senza tricolore, firmati Emilio de la Forest de Divonne e Piero Dusio. E poi di nuovo e solo Agnelli, fino ad Andrea, erede di Umberto, con altri 24 trionfi. Tutta la sala dei trofei, escluso 1 scudetto e 3 Coppe Italia, è collocata all’ombra del tetto di casa Agnelli, troppo grande e solido per non pensare che sia proprio la famiglia la marcia in più della Juventus” (Angelo Forgione, Dov’è la Vittoria). 

Alla luce di alcune brevi note così esposte si capisce come il campionato Italiano di calcio viva da sempre la sudditanza ad una squadra che domina economicamente e politicamente da sempre la FIGC, persino sponsorizzandola, abbia minacciato sindaci di Torino e politici romani con le armi del ricatto economico quando lo stadio delle Alpi era solo un progetto di la da venire, abbia usato tale forza per fare pressione sulla classe arbitrale e suoi suoi esponenti quando era necessario, cioè sempre, per dare la spinta a rompere determinati equilibri. Quando la Juve incontra le altre squadre due sono le probabilità: o si gioca a “scansarsi” stendendo tappeti rossi alla signora vaccaladra, oppure si alza il muro dell’orgoglio e della forza di rappresentare chi non ci sta a perdere e si lotta con le unghia e coi denti. Ecco perché quando l’Inter esce battuta negli scontri diretti si ha sempre in bocca il sapore amaro della beffa: se non è l’episodio fortunoso, è spesso l’arbitro a spezzare l’equilibrio in campo a favore degli smargiassi bianconeri, che mai vedono puniti clamorose proteste o falli dei propri giocatori, ma sanzionati pesantemente quelli degli avversari. Possiamo anche perdere, ma perdiamo una partita, non abbiamo mai perso l’onore con la retrocessione per illecito sportivo e associazione a delinquere per i propri dirigenti. Per non dire delle prescrizioni a svariati processi per uso di sostanze  dopanti o considerati tale per legge per le quali venne condannato il medico sociale, Agricola.  Noi possiamo perdere, loro possono anche vincere, ma la sporcizia non gliela toglie nessuno.

AMALA, PAZZA INTER, AMALA

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.