A ME STESSO

Pensavo, guardando la figura del Matteo caravaggesco che uno dei primissimi tempi mi presentava al mondo del social network di FB, ad un acido soggetto che da queste pagine mi invitava a cambiare immagine di profilo, perché ero magari simpatico più ancora del Matteo.
Ora non che me ne fregasse qualcosa della sua opinione, ma come si può giudicare antipatica una figura, un ritratto vero e proprio, tale è la nitidezza dei sentimenti ivi rappresentati, in cui Caravaggio esprime un genio unico, una espressività di sentimenti veramente e profondamente umana?
In quella figura, non solo io, ma chiunque altro potrebbe riconoscersi in quel gesto, in quel dito indice che quasi come un prolungamento dell’indice del Cristo, addita se stesso incredulo e sconcertato da tale chiamata.
Quante volte nella vita ho detto “Io? sicuro?” alla chiamata di un professore dalla cattedra, di una prova della vita, di un impegno giudicato improbo per le nostre forze. Eppure, spesso abbiamo risposto si, spinti dal desiderio della sfida, della prova da superare, dalla fede che ci sorregge in certi momenti difficili.
Ma è un dito anche accusatore, che vuole ricordarci quante volte avremmo voluto fuggire dalle nostre responsabilità, e spesso lo abbiamo fatto, perché l’Io egoista predomina sul Tu dell’altro, sul suo bisogno, e abbiamo fatto prevalere l’interesse personale invece dell’etica del bene e della giustizia, a cui quel Matteo è chiamato da un ben altro indice intriso di luce divina e di grazia.
Quasi un desiderio soprannaturale che si impossessa del pagano peccatore, in quegli occhi stupiti ma ardenti già di fuoco sacro, che accende il cuore degli uomini quando si riesce a scorgere fuori e sopra di noi quel sole, quella stella a cui legarci e orbitare intorno, il bene, e per esso spenderci.
Ecco perché ho scelto Matteo e la sua conversione, perché tutti un giorno potremmo ricevere quella chiamata che accenderebbe il cuore e aprirebbe i nostri occhi per farci scorgere il mondo fuori di noi. L’attesa e la grazia.
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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.