Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.
Quando Gesù nella sinagoga vede l’uomo con la mano rattrappita e lo prende per mano, la sua, lo mette al centro dell’attenzione di tutti. Gesù non guarisce come facevano i guaritori del suo tempo, che rivolgevano la loro attenzione all’organo malato e su quello si concentravano. Gesù opera mettendo al centro della sua cura il malato, la persona tutta. Egli instaura con loro un rapporto personale e questo lo distingue già dai guaritori del suo tempo. E inoltre non mette solo la sua attenzione sul malato, ma mette il malato al centro dell’attenzione di tutti. Colui che era l’escluso per eccellenza dalle funzioni sacre, dalla lettura del rotolo nella sinagoga, adesso è il polo di attrazione degli sguardi di tutti i presenti.
In quel momento Gesù opera una grande trasgressione della legge, perché il sabato non era consentito curare, ma così facendo mostra la vera legge di Dio, che è fare il bene dell’uomo. La mano paralizzata dell’uomo che non può operare in favore degli suoi simili, è la mano di tutti noi che ossequiosi alle norme, alle regole e ai precetti, trascuriamo coloro che tendono la mano verso di noi perché hanno bisogno, e noi rattrappiti nella mano e nel cuore, non facciamo il gesto che Gesù fa nella sinagoga: mettere al centro della nostra vita il bisogno altrui.
Siamo proprio ben poca cosa, abbiamo le mani e non le usiamo, esse sono accartocciate verso noi stessi, nel gesto arcuato di chi prende per sé incapace di donare agli altri. Non è Gesù che guarisce la mano paralizzata, ma è il paralizzato che rispondendo al forte e imperioso richiamo del Maestro: “Tendi la tua mano”, trova forza e coraggio di stendere l’arto, tenderlo verso colui che lo richiedeva, tale da fargli capire che solamente l’apertura alla voce che te lo chiede guarisce dalla paralisi dell’egoismo.