L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo

Resurrection

J.MATEOS- F.CAMACHO

. LA MORTE
In relazione con la liberazione dal peccato, si trova la liberazione dalla morte che nel Nuovo Testamento
è concepita, dal punto di vista teologico, come conseguenza dél peccato (Gv 8, 21.24;Rm 6; cfr. Gn 2, 17).La morte appare così come il risultato dell’ostinazione dell’uomo che, tradendo se stesso, si rifiuta di realizzarsi in conformità al disegno di Dio. Questo disegno offre e. garantisce la pienez~a di vita; disinteressarsene significa rinunciare alla vita e abbracciare la morte. Orbene, la morte può essere concepita in due modi:
a) come morte in vita, quella di ogni uomo che nella  esistenza si lascia ingannare dai falsi valori di un
sistema oppressore,. rinunciando all’esercizio della propria libertà e al dispiegarnento della sua capacità di amare, e b) come morte fisica, quella che pone fine al processo biologico dell’uomo.
a) In rapporto alla prima, la morte in vita i racconti evangelici di guarigione ci mostrano ancora ‘la persona
di Gesù e Il suo messaggio come liberazione di coloro che, a causa di situazioni di «peccato», si trovano paraIizzati o impediti nel loro processo di crescita personale e possono essere considerati come dei «morti in vita». ~~ parte loro, i racconti di risurrezione della figlia di GIAIRO (Mc 5, 35 – 6, 1 par.) e del figlio della vedova di Naim (L~ 7, 11-17), personaggi rappresentativi del popolo, esprimono l’alternativa di vita che Gesù offre a coloro che, a causa dell’oppressione che il sistema religioso-legale esercita, sono giunti a una situazione limite, descritta come stato di morte, e sono privi di ogni prospettiva di vita.
La situazione di morte del popolo e l’offerta di vita che Gesù gli fa sono simbolizzati nel vangelo di Giovanni dalla.guarigione dell’invalido della piscina (Gv 5, l ss). Quest.o individuo, che rappresenta la moltitudine del popolo infermo (Gv 5, 3), è ridotto all’invalidità a causa de!la sua. opzione (il suo peccato, cfr. 5, 14) in favore del valori proposti dal sistema/Legge giudaica. Questo popolo ha riposto le sue speranze nelle rivolte popolari (5, 7: l’acqua della piscina che si agita di tanto in tanto) che, fomentate da una violenza simile a quella esercitata dal sistema ingiusto, finirebbero, se trionfassero, col riprodurla.
Gesù gli offre la guarigione che egli realizza infondendogli la propria forza e dandogli vita (Spirito); queste
permettono all’uomo/popolo di rialzarsi senza aiuto e di seguire il proprio cammino, vale a dire di uscire dalla condizione di morte nella quale si trova e scoprire la libertà. Ordinandogli di prendere il suo lettuccio (Gv 5, 8s), Gesù lo esorta a rendersi indipendente dall’obbligo (il precetto del riposo festivo) imposto dal sistema religioso oppressore, a non riconoscere la sua autorità. La sottomissione all’ideologia religiosa ufficiale lo aveva condotto allo stato di morte descritto come paralisi. Gesù lo invita dunque a rompere con quell’ideologia optando per i valori ad essa contrari. La scelta errata, fatta in precedenza, dev’essere neutralizzata dalla scelta contraria. L’uomo non capisce la portata della rottura che Gesù
gli propone. L’evangelista lo fa notare raccontando che Gesù lo incontra più tardi «nel Tempio», punto centrale dell’istituzione oppressiva (Gv 5, 14): L’individuo/popolo non si è reso conto che era stata la sua adesione a quel Tempio/istituzione che lo aveva privato della vita. Gesù lo ammonisce di «non peccare più» (Gv 5, 14), cioè di non tornare ad integrarsi nel sistema, perché potrebbe ricadere, questa volta senza rimedio, nella situazione precedente che lo porterebbe alla morte definitiva. Giovanni esporre un caso differente nell’episodio del cieco dalla nascita. Si tratta di un morto in vita senza colpa propria (Gv 9, 3), di un uomo che ha sempre vissuto in un sistema di oppressione non avendo potuto individuare altra possibilità: l’ideologia del sistema «<le tenebre») gli ha sempre impedito di riconoscere (Gv 9, 1:«cieco dalla nascita») che cosa significa essere persona. La sua condizione è descritta come immobilità, miseria
e dipendenza (Gv 9, 8: «mendicante», «seduto»). In questo individuo, il cui stato non dipende da alcuna scelta personale, ma solo dalla sua situazione sociale, Gesù risveglia il desiderio vitale assopito, mostrandogli le possibilità dell’uomo (Gv 9, 6: il «fango-/uomo spalmato sugli occhi); mette davanti ai suoi occhi la mèta della crescita umana il cui apice è lo stesso Gesù (Gv 9, 35-39). L’uomo che scopre queste possibilità è in grado di resistere a ogni pressione e di opporre la sua esperienza di vita agli argomenti proposti dai dottori della teo-logia legalista (Gv 9, 13-34). Egli ora «è maggiorenne» (Gv 9,21-23). Come si vede, l’adesione a Gesù e al suo messaggio fa passare gli uomini dalla morte alla vita (Gv 5, 24).
b) L’ultima schiavitù dell’uomo e il suo tormento principale è l’essere soggetto alla morte fisica che minaccia di distruggere il suo progetto di vita. Gesù libera anche da questa schiavitù, come mostra l’episodio della risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1-44). In Giovanni compare una comunità di amici-discepoli di Gesù, rappresentata da tre personaggi (Gv 11, 1.5:Lazzaro, Maria e Marta) e basata ancora sulle categorie del giudaismo. L’evento della morte le risulta inspiegabile e non trova conforto; ci si aspettava che l’azione di Gesù allontanasse definitivamente la morte fisica (Gv11,21.32). Nell’episodio, Giovanni spiega la natura della salvezza che Gesù porta: non si tratta di evitare la morte fisica, ma di fornire una qualità di vita che superi questa morte. Giovanni espone. tutto ciò confrontando l’opera di Gesù con la mentalità giudaica delle sorelle, che si manifesta con i tratti seguenti: il pianto di Maria per la morte del fratello è uguale a quello dei giudei che non hanno dato l’adesione a Gesù (Gv 11,33); hanno posto il cadavere in un sepolcro/caverna come quello degli antichi patriarchi (Gv Il, 38; cfr. Gn 49, 29-32; 50, 13), credendo che la morte fosse la fine di tutto; hanno messo una pietra tombale sull’ingresso del sepolcro (Gv 11, 38), togliendo al morto qualsiasi speranza immediata di vita. Marta accenna ai «quattro giorni» e al fetore del cadavere (Gv Il, 39) e considera la situazione irreversibile; le braccia e le gambe del defunto sono state legate (Gv11;44) a significare la privazione di attività e di movimento che veniva attribuita alla morte; il volto gli è stato coperto con un sudario, per indicare la perdita dell’identità
personale. Di fronte alla tragedia della morte le sorelle non trovano altro rifugio che la vaga speranza
in una risurrezione finale, come professava la dottrina farisaica (Gv 11,24). Gesù al contrario, paragona la morte di Lazzaro al sonno (Gv Il, 11), volendo significare che, malgrado le apparenze, la vita non si è interrotta; il pianto di Gesù è diverso (Gv 11,35), mostra Il dolore per l assenza fisica dell’amico ma esclude ogni scoramento; egli ordina che la pietra tombale venga rimossa (Gv Il, 39), lasciando libero l’accesso alla vita (Gv 11,43); comanda che siano sciolte le bende che legano Lazzaro, perché egli possa
«andarsene» (Gv 11,44) al Padre; e alla vaga speranza di una risurrezione futura oppone la garanzia di vita permanente che l’adesione alla sua persona procura. Egli è la risurrezione e la vita (Gv Il, 25s). Con questo linguaggio figurato l’evangelista vuole dimostrare che una comunità cristiana scoraggiata di fronte
alla morte, non ha compreso il tipo di vita che Gesù comunica. A questo riguardo vi è un dato del vangelo di Giovanni che potrebbe disorientare. In esso Gesù parla della risurrezione che compirà «l’ultimo giorno» (Gv 6, 39s). Ma questa non deve essere confusa con quella attesa dal giudaismo alla fine dei tempi; per Giovanni «l’ultimo giorno» è quello della morte di Gesù (Gv 7,37-39); questa sprigiona l’amore/vita dello Spirito) contenuto in Gesù e lo comunica agli uomini (Gv 19, 34: l’acqua dal costato). La comunicazione dello Spirito, vita di Dio stesso, fa sì che l’uomo superi la barriera della morte. Ciò è espresso da Gesù nello stesso .vangelo, quando .afferma: «Chi compie il mio messaggio. non saprà mal cosa significa morire» (Gv 8,51). .

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.