Mt 9,14-15 Lo sposo e la gioia

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Il Battista è in carcere. E i suoi discepoli vengono da Gesù. Essere discepoli significa seguire un maestro e perpetuarne l’insegnamento. Dicendosi discepoli di Giovanni scalzano per lui il ruolo di “precursore” di Gesù. e non chiamano Gesù maestro. La prassi di osservanza della legge a cui questi discepoli si attengono, li fanno simili ai farisei e al loro lievito. Di fatto  colui che aveva definito” razza di vipere” i farisei, adesso è stato messo nel dimenticatoio dai suoi stessi discepoli. Accusano con lo stile tipico degli ortodossi farisei più fanatici Gesù e i suoi discepoli di non attenersi al precetto del digiuno mosaico.  La risposta di Gesù sposta l’obiettivo dell’accusa: egli paragona il rapporto tra lui e i discepoli  a un banchetto di nozze, e se i discepoli sono amici dello sposo, cioè lui stesso, allora non possono digiunare finché lo sposo è in mezzo a loro. La figura dello sposo va di pari passo con l’annuncio del Battista sulle rive del Giordano. verrà lo Sposo di Israele, e lui non è colui che lo scalzerà. Sono le antiche designazioni del Dio di Israele, ora visto come sposo, ora come marito di Israele spesso infedele. Questa immagine dello sposo presuppone il cambio di paradigma dell’Alleanza tra Dio e gli uomini.  Non più una legge a cui obbedire e stare sottomessi, ma un amore da accogliere e condividere, fatto di un rapporto di amicizia, di gioia, intimità e soprattutto libertà. E’ un vangelo sponsale, lieto, festoso.
Che contraddice le quaresime e le prediche funeree sulla penitenza religiosa e sui digiuni religiosi e mistici, mandando in malora precetti farisaici e prescrizioni ecclesiastiche al riguardo.
La liturgia dice una cosa e il vangelo contraddice.
Predicano digiuni e il vangelo risponde con nozze e banchetti. Predicano sacrifici e la buona novella propone letizia e gioia. Più sono mortiferi i liturgisti e più il vangelo ci presenta Gesù come addirittura lo sposo che va per le strade di Galilea, con i suoi amici e le sue amiche al seguito, a dare vita, gioia, grazia, a chi ha il cuore spento e arido, ed è morto in vita.
A chi è diventato sordo al richiamo della passione per il prossimo, rifiutandosi di amare e accogliere.
Gesù è lo sposo festoso. A quelli che sono gli esclusi lebbrosi dalla società egli tocca e risana. A chi giace  paralizzato dalla legge che ne fa dei morti viventi, egli libera dall’obbligo della osservanza ad essa e perdona.
Colui che chiama tutti alla gioia, non prepara strade astruse da seguire per regni lontani e ultraterreni.
No, egli vuole che l’uomo e la donna siano felici ora, su questa terra, in questa loro vita, come sposi nella loro festa di nozze. Non possiamo essere digiuni quando lo sposo è in mezzo a noi.
Non possiamo astenerci dal sentimento sponsale nei confronti degli altri.
Anche noi siamo partecipi della gioia dello sposo.
Anche noi amiamo perché sposi di uomini e donne che hanno bisogno del nostro calore, del nostro abbraccio, del posto nel cuore a loro riservato.
Il digiuno riserviamolo per l’ultimo giorno, quello della separazione.
Lo sposo va via e allora ogni comunità piange e digiuna.
Il dolore della perdita è componente presente in ogni comunità, così come nella vita di ognuno di noi, ma quello che la liturgia presenta come periodo lungo di penitenza, sacrificio e digiuno, il vangelo lo propone solo per un giorno.
Nessuna Quaresima nella vita del credente, ma essa sia un periodo di preparazione alla gioia della resurrezione alla vita piena. Quella lasciamola ai discepoli di Giovanni, ancorati al Testamento Vecchio e Antico, e ai Farisei osservanti di una legge ma non praticanti di amore e giustizia.
Sia tenuto presente che sta scritto: misericordia voglio, non sacrifici.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.