L’EUCARESTIA NEI VANGELI, di p. ALBERTO MAGGI

L’EUCARESTIA NEI VANGELI, da una conferenza di p. ALBERTO MAGGI
Con Gesù non è vero che bisogna purificarsi per mangiare il pane, ma è mangiare il pane quello che purifica. Questo è talmente importante che c’è in tutti i 4 vangeli e in particolare abbiamo detto che Giovanni sembra non riportare la cena eucaristica, anche se lo riporta alla sua maniera. Giovanni è quello che lo esprime nella maniera più incisiva questo. Nel cap. 13 presenta Gesù che è già a cena, è l’ultima cena
con i suoi, in quell’ultima cena, durante la cena, si alza per mettersi a lavare i piedi dei discepoli. Questo gesto eventualmente si faceva prima del mangiare, appunto per essere degni. Perché Gesù interrompe la cena per lavare i piedi dei discepoli? Appunto per significare quello che abbiamo detto: non bisogna essere puri per partecipare alla cena, ma è la partecipazione alla cena quello che ti rende puro.
E continua: allora Gesù benedice, sono le due uniche volte che Gesù in questo vangelo benedice il Signore per il pane. Benedire significa riconoscere che quello che si ha non è proprietà della persona, ma è dono ricevuto e come tale va condiviso per moltiplicare l’azione creatrice. Lo spezzò, e lo diede ai discepoli. Gesù si identifica in questo pane e lo spezza, cioè si offre. Questo gesto dello spezzare il pane è molto importante: non è un pane che viene mantenuto e dato a una persona, è un pane che va spezzato per essere fonte di nutrimento per molte persone. Questo fatto è talmente importante che conosciamo tutti l’episodio di Emmaus nel vangelo di Luca. I due discepoli non riconoscono Gesù, e quando Gesù prende il pane e lo spezza, i loro occhi si aprirono e in quel medesimo istante, scrive l’evangelista, Gesù si rende invisibile. Cosa significa che si rende invisibile?
Non che scompare, ma che l’unica maniera che ha Gesù per essere visibile nella sua comunità è nel pane che si spezza. Chi mangia questo pane e si fa pane per gli altri, questo rende visibile il Signore. Quindi Gesù lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli dicendo: prendete, (è imperativo) mangiate. Non c’è la congiunzione, non è prendete e mangiate, prendete, mangiate. E’ un comando imperativo. Solo Matteo riporta l’invito di Gesù di mangiare il pane. Negli altri vangeli, abbiamo visto come sono differenti, c’è l’invito prendete. Invece Matteo dice: prendete, mangiate, perché? Questo pane che rappresenta Gesù, è Gesù, non basta prenderlo, bisogna assimilarlo, bisogna che diventi la mia vita. Anche Giuda nel vangelo di Giovanni prende il pane che è Gesù, ma non lo mangia, esce e va a consegnare Gesù ai sommi sacerdoti e lo tradisce. Allora per Matteo non è possibile prendere il pane senza mangiarlo. Non basta prendere Gesù come modello esterno di condotta, ma occorre assimilarlo interiormente e profondamente. E’ l’ultima volta che nel vangelo di Matteo appare il verbo mangiare. La prima volta fu al cap. 6 quando Gesù disse: per questo vi dico per la vostra vita, non vi preoccupate di quello che mangerete e berrete, cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi sono date in soprappiù. Ecco perché i discepoli non dovevano preoccuparsi, sarà il Signore stesso che darà non un alimento, ma sarà lui il loro pane. Qui adesso abbiamo un problema, uno scoglio grammaticale, ma in realtà vedremo l’abilità dell’evangelista che vuol dare un significato teologico. Abbiamo visto: prendete e mangiate e poi continua Gesù: questo è il mio corpo. A che cosa si riferisce questo? Non può riferirsi al pane perché il pane nella lingua greca, il genere maschile, questo è neutro. Allora quando Gesù dice: questo è il mio corpo non può riferirsi al pane, o meglio non può riferirsi soltanto al pane. E’ importante questa abilità teologica e grammaticale dell’evangelista. Attraverso l’uso del pronome dimostrativo, questo, Matteo non si riferisce soltanto al pane, ma a tutta l’azione che lo accompagna, quindi la benedizione, spezzare, prendere, mangiare. Questo è il corpo del Signore. Io credo che a questo punto ci si spalanca veramente un orizzonte nuovo. Il corpo del Signore è la comunità dei credenti che prende il pane, lo benedice, lo spezza e si fa pane per gli altri, questo è il corpo del Signore! Quindi il corpo del Signore non è soltanto questo pane, ma è una comunità che si fa pane per gli altri. Vediamo come questo aumenta l’orizzonte e il significato dell’eucarestia che non si concentra soltanto su un pane, ma su una comunità che si fa pane per gli altri. E prese un calice… dopo il pane Gesù passa al calice. Il calice è già comparso nei vangeli nell’annuncio che Gesù ha dato della sua morte ai due figli di Zebedeo. Conoscete
l’episodio. Gesù dice: vado a Gerusalemme ad essere ammazzato, i discepoli che sono accecati dalla loro ambizione, dalla loro gelosia, chiedono a Gesù: quando sei a Gerusalemme dacci i posti più importanti. Pensano di andare a conquistare il potere, a condividere il potere. E allora Gesù dice a loro: ma potete voi bere il calice che io sto per bere? Mt. 20,22. Quindi il calice è associato alla morte di Gesù. Infatti Gesù nel getsemani dirà: Padre mio se è possibile passi via da me questo calice. Mt. 26,39. Mangiando questo pane i discepoli accettano Gesù come norma di vita, ma questa norma di vita comporta anche la persecuzione ed eventualmente anche la morte. E preso un calice Ringraziò, Ricordate, nella prima condivisione dei pani Gesù benedice, nella seconda in terra pagana Gesù ringrazia. Nell’eucarestia i due verbi appaiono insieme, benedire secondo l’uso ebraico e ringraziare secondo l’uso pagano. Attraverso questa unione dei due verbi l’evangelista vuol far comprendere che nell’eucarestia il rendere grazie unisce l’umanità quella giudea e pagana. Nell’eucarestia nessuno si può sentire escluso perché l’eucarestia è l’offerta del signore per tutti quelli che hanno fame. 8 lo diede loro dicendo: bevete tutti. L’imperativo, l’invito a bere, come per mangiare è soltanto di Matteo e nella cena pasquale ognuno aveva un suo calice. Qui c’è un unico calice appunto per evitare qualunque riferimento alla cena pasquale. Gesù dice: bevete da questo, da un unico calice, tutti. Non è sufficiente dare adesione a Gesù, mangiare il pane, ma bisogna anche bere al calice, bisogna che la fedeltà al Signore giunga fino a dare come lui la vita. La vera accettazione del pane si vede soltanto nel bere il calice, ecco perché Matteo unisce questi due elementi. Perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, nella cena pasquale dopo il quarto calice che veniva benedetto e bevuto si recitava il salmo 79, e il salmo 79 al v. 6 recitava: versa l’ira tua sulle nazioni che non ti conoscono e sui regni che non invocano il tuo nome. Ebbene l’evangelista adopera lo stesso verbo “versare”, ma con Gesù non l’ira di Dio si versa, ma il suo sangue segno del suo amore e del suo perdono si versa su tutti. Questo è importante perché al momento della morte di Gesù, tutto il popolo si prenderà la responsabilità della sua morte dichiarando: il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli. Mt. 27,25. Hanno accusato Gesù, ne hanno voluto la morte e dicono: se è un giusto la sua morte cada su di noi come maledizione. Ecco allora perché nella cena il sangue di Gesù ricadrà sul suo popolo, ma non come espressione di vendetta o di castigo, ma di perdono, perdono che viene esteso pure ai colpevoli della sua morte. Ma c’è ancora ha un altro significato profondo, questo verbo versare nella bibbia viene adoperato per indicare l’effusione dello Spirito santo. E Gesù nel vangelo era stato annunziato come colui che avrebbe battezzato nello Spirito santo. Il battesimo nell’acqua significa essere immersi in un liquido che è esterno all’uomo, il battesimo nello Spirito essere impregnati di una forza che è intima all’uomo. Quando è che avviene l’effusione nello Spirito? Nell’eucaristia, quando si beve a questo calice, il sangue di Gesù, la vita stessa di Gesù entra in noi, si fonde con noi e realizza quello che l’evangelista aveva presentato fin dal primo momento: Gesù è il Dio con noi. Ancora purtroppo per questi catechismi, per questi insegnamenti religiosi, forse per interesse, ancora purtroppo Dio viene presentato coma una realtà esterna dall’uomo, lontana, ma non è il Dio di Gesù. Il Dio di Gesù non solo è vicino all’uomo, ma è talmente intimo che chiede all’uomo di essere accolto. Il Dio di Gesù chiede ad ogni persona di essere accolto per fondersi nella sua esistenza e dilatare la sua capacità d’amore. Questo è il Dio di Gesù, quindi non un Dio da invocare, un Dio che sta all’esterno dell’uomo, ma un Dio che è intimo nel più profondo dell’uomo, un Dio che si manifesta non quando alziamo le mani al cielo per invocarlo, ma quando le abbassiamo per servire. Quando noi siamo umani, pienamente umani, nella nostra umanità si manifesta la sua divinità. Quindi come in una cena, bere il calice è il momento nel quale Gesù risponde a quanti lo hanno seguito con il dono dello Spirito santo.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.