inferno…

Dice Von Balthasar: “Che Dio raggiunge il suo scopo anche allorquando per mezzo dell’Inferno viene glorificato non il suo amore ma la sua giustizia. Oppure che egli continua ad amare eternamente i dannati, cosa che precisamente costituisce la loro pena. Oppure che egli sì li ama, ma non ha alcuna compassione per loro e anche a quelli che sono beati presso di Lui vieta di avere una simile compassione. Oppure, con Tommaso d’Aquino, che in Cielo non si può essenzialmente avere più alcuna compassione, poiché compassione presuppone una partecipazione al dolore dell’oppresso, cosa che diminuirebbe la beatitudine”.

Dopo questa desolante sfilata di relitti teologici, von Balthasar saggiamente conclude: “Lasciamo stare simili idee impensabili”. È giusto, lasciamole stare; l’onestà intellettuale però impone che l’ipotesi dell’Inferno vuoto venga chiamata col suo vero nome: apocatastasi.
La medesima prospettiva balthasariana di cripto-apocatastasi si ritrova nel volume dei due attuali professori di teologia sistematica presso l’Università Gregoriana, i gesuiti Gerald O’Collins e Mario Farrugia: “Possiamo sperare che l’universale proposito salvifico di Dio si rivelerà efficace e che egli sarà infine ‘tutto in tutti’, vale a dire che conseguirà il divino obiettivo di salvare tutta la creazione”. Io mi chiedo come si possano scrivere parole come queste senza nominare il concetto speculativo che le veicola, cioè l’apocatastasi. (V. Mancuso, L’anima e il suo destino).

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.