IL DIO DELLA RESURREZIONE (di C. Molari).

IL DIO DELLA RESURREZIONE (di C. Molari).

La resurrezione non vuol dire prendere le molecole del corpo e portarle altrove, vuol dire entrare in una modalità nuova di esistenza, quella che ha fatto fiorire lo Spirito. Credo realmente che questo modello sia per noi oggi necessario: siamo chiamati a diventare spirito, cioè quell’energia che il nostro corpo deve pian piano far sorgere come strutture spirituali, che sono le strutture di una modalità nuova di esistenza che non sappiamo cosa sia.
Avere fede significa cogliere che la forza che ci attraversa contiene delle possibilità che già esercita in funzione di un futuro che noi non possiamo ancora anticipare.

Per questo il pellegrinaggio della ragione non è sufficiente, perché la ragione vorrebbe dire: che cosa sono? a cosa servono? È come se il feto nell’utero materno si chiedesse: a che cosa servono i polmoni? Non lo puoi sapere adesso, lascia che crescano, poi vedrai. Così le nostre dimensioni spirituali, la nostra capacità di amare a cosa serve se non ottengono nulla, se la storia continua come prima? Vedrai a cosa servono: vivi, abbandonati. Il Dio della resurrezione non vuol dire il Dio che ha preso il corpo di Gesù e l’ha portato altrove. Non sappiamo. Io credo che l’amore che Gesù ha esercitato sulla croce, amando in una situazione di violenza, di odio, di emarginazione, di abbandono, è stato di una potenza tale che qualcosa di diverso doveva accadere. Se questo è avvenuto, quel tipo di amore non poteva finire con un grido angoscioso, come dice Marco, un grido inarticolato. La conseguenza importante per noi è che, come dice Paolo, “se lo Spirito di Colui che ha resuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Il Dio dello Spirito in cui crediamo ha quell’energia potente per cui anche noi possiamo crescere nella dimensione spirituale e diventare figli. In questa prospettiva la resurrezione non è un miracolo, è il quotidiano. Siamo chiamati a diventare spirito. Se realmente siamo chiamati a diventare figli, come afferma la terminologia di Giovanni: “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente”, e come conferma Paolo (Rm. 8,14): “coloro che sono figli di Dio sono condotti dallo spirito”, allora noi ci troviamo di fronte a una responsabilità enorme, perché questo passaggio dalla materia allo spirito non avviene in modo deterministico, solo con il passare del tempo: non è invecchiando che si sviluppano le dimensioni spirituali della persona.
La dimensione spirituale deve essere curata, accolta, seguita. Se questa è la nostra condizione la domanda che ci siamo posti sull’immagine di Dio diventa un’altra: qual è l’atteggiamento da sviluppare perché quella forza di vita in noi possa fiorire nella dimensione spirituale? Non è “quale immagine di Dio abbiamo?”, ma “quale rapporto con Dio viviamo, così da diventare figli del Dio della vita, del Dio della misericordia, del Dio della resurrezione? Se questo è vero, il silenzio e la preghiera hanno un grande valore per noi. Ci consente di metterci in sintonia con quella forza di vita che in noi diventa parola di misericordia, parola di vita, parola di resurrezione. Dovremmo avere nella giornata e nell’orizzonte costante della nostra vita, la ricerca di questa sintonia, il sapere che in gioco, al profondo nella nostra realtà. (C. Molari)
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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.