p. ALBERTO MAGGI OSM  “Dio e la gallina. I titoli di Gesù”

p. ALBERTO MAGGI OSM
“Dio e la gallina. I titoli di Gesù”

I MILLE NOMI DEL SIGNORE
Principali brani commentati:
• Lc 4, 16-30 (Gesù nella sinagoga di Nazareth)
• Gv 10, 11-16 (il Buon Pastore)
• Mc 2, 14-17 (chiamata dei peccatori)
• Mc 2, 18-22 (la questione del digiuno)
• Mc 20, 17-28 (3° predizione della passione; la madre dei figli di Zebedeo)
• Mt 21, 1-14 (ingresso in Gerusalemme; cacciata dal tempio)
• Gv 1, 29-34 (l’Agnello di Dio)
• Mt 23,37 (lamento per Gerusalemme)
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Sesto nome: L’asinello (Mt 21, 1-14)
“Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Betfage, verso il Monte degli
Ulivi, disse ai suoi discepoli: «andate nel villaggio davanti a voi e subito troverete un’asina legata e con essa un puledro: scioglieteli e conduceteli a me…»” Gesù sta entrando a Gerusalemme. Qui si vede più chiaro che mai che il Vangelo non è cronaca ma teologia, cioè non riguarda la storia ma la fede. Quando si legge il Vangelo si sente che è una parola attuale. Qui si capisce che il racconto in sé fa acqua da tutte le parti.
Vediamo allora di comprenderlo seguendo le chiavi di lettura che l’evangelista stesso ci
pone. Dice: andate nel villaggio… Ieri abbiamo visto l’espressione in disparte, oggi abbiamo il villaggio. Quando nei vangeli troviamo l’espressione il villaggio (¹ kèmh) con l’articolo determinativo ma senza il nome del villaggio indica che la situazione è di incomprensione del messaggio di Gesù. Il villaggio è il simbolo della tradizione, del luogo dove la religione ha attecchito e lì ha messo radici talmente forti che non viene sradicata: il villaggio è nemico delle novità, è il luogo dove il nuovo viene visto con sospetto, perché vige l’imperativo: Si è sempre fatto così, perché cambiare? Quindi mettendo questa espressione del villaggio l’evangelista farà comprendere che ci sarà una resistenza e una incomprensione all’azione di Gesù. Perché l’evangelista ha una ricchezza di particolari riguardo all’asina e al puledro? Si rifà al libro della Genesi quando Giacobbe benedice i dodici figli, i Patriarchi, i capostipiti delle 12 tribù di Israele, e parlando del più importante, Giuda, che era rappresentato dall’immagine del re della foresta, il leone, si dice: la benedizione non sarà tolta dallo scettro di Giuda né dal bastone di comando dei suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e al quale è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e alla stessa vite il figlio della sua asina (Gen 49,11). Cioè è lui il proprietario di questa asina e del suo asinello. Allora l’indicazione precisa che l’evangelista mette in bocca a Gesù, è in riferimento a questa profezia della benedizione di Giacobbe: è giunto il proprietario dell’asina, è giunto colui che aveva lo scettro del popolo di Israele. L’invito a sciogliere le due bestie significa che si realizza questa profezia.“E se qualcuno vi dirà poi qualcosa rispondete: «il Signore ne ha bisogno ma lo rimanderà subito»”. E’ la prima volta che Gesù riferisce a se stesso il titolo di Signore (KÚrioj), che era la traduzione del nome di Dio. Sappiamo che il nome di Dio era impronunciabile. Approssimativamente noi lo chiamiamo Jahvé, ma non si sa esattamente quale fosse la pronuncia. Quando la Bibbia dall’ebraico è stata tradotta in greco, il nome di Dio è stato tradotto con il Signore, titolo che si è guadagnato liberando il suo popolo dalla schiavitù. Allora Gesù rivendica per sé il nome di Dio, colui che libera il suo popolo. L’evangelista vede in questo gesto la conferma di una profezia che era stata censurata dalla tradizione religiosa, perché era una profezia che non andava bene. Ricordate quando abbiamo visto Gesù nella sinagoga di Nazaret che ha parlato di amore e di pace e non di vendetta… e tutti i partecipanti ribollirono contro di lui perché si aspettava un messia vincitore e dominatore dei pagani. Ebbene c’era un’altra profezia che veniva ignorata e l’evangelista vede nell’atteggiamento di Gesù che scioglie l’asina e il suo puledro, la liberazione. Questo avvenne perché si adempisse la parola del profeta (Zaccaria); dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te, mite, seduto su un’asina con un puledro, figlio di giumenta (Zac 9,9).. L’evangelista qui riprende liberamente la profezia di Zaccaria, modificando quegli aspetti di questa profezia, che non sono confacenti alla figura di Gesù. Nella profezia si diceva: esulta grandemente figlia di Sion… l’evangelista scrive semplicemente: dite alla figlia di Sion… La figlia di Sion è Gerusalemme e non deve esultare. Gerusalemme, in questo Vangelo, fin dall’inizio appare sotto una luce tetra, sinistra. Gerusalemme è il simbolo dell’Istituzione religiosa, refrattaria alla voce di Dio, la città assassina che da sempre ammazzerà ogni profeta inviato da Dio. Ecco perché quando in questo Vangelo viene dato l’annuncio della nascita del Re dei Giudei, il re (Erode) si turbò (e questo si può capire) ma aggiunge… e con lui tutta Gerusalemme (Mt 2,3). Come mai? E’ stato dato l’annuncio che finalmente è arrivato l’atteso… Si vede che l’atteso non era poi tanto aspettato. Era atteso fintanto che era una cosa
teorica, ma quando si realizza avviene un terremoto a Gerusalemme perché Gerusalemme è l’istituzione religiosa dove si adora un Dio che è una idolatria perché Dio è il potere, Dio è il denaro. Ecco perché l’evangelista toglie il termine esulta perché Gerusalemme ha poco da esultare. Toglie anche il termine vittorioso perché Gesù non è vittorioso. Quello che invece prende da Zaccaria è: ecco a te viene il re seduto su un’asina Gesù ha scelto per entrare a Gerusalemme non la cavalcatura regale che era la mula o quella dei principi e condottieri che era il destriero, il cavallo, ma la cavalcatura normale delle persone comuni. Non è entrato in modo appariscente, ma su un’asina con un puledro. Un’immagine di una dolcezza e mitezza straordinarie: un’asina che ha appena partorito il suo puledro. Gesù con questo gesto vuole sciogliere questa profezia di un messia che non viene con le armi ma portando pace, che non viene come conquistatore, ma come un’offerta di vita.

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.

Una risposta a “p. ALBERTO MAGGI OSM  “Dio e la gallina. I titoli di Gesù””

  1. Se c’è una immagine sbagliata con cui Gesù ha dovuto fare sempre i conti, questa è l’idea del messia che gli ebrei del suo tempo avevano coltivato come una vera e propria aspettativa nazionalista, vero satana da cui era difficile liberare le menti di quel popolo che portarono alla fine le masse deluse ad urlare “Crocifiggilo, crocifiggilo” davanti al pretorio romano. Gesù non è il figlio (hyos) di DAVIDE, anche se della stessa stirpe (spermathos), egli non somiglia al re davidico violento e assassino. Ma è condottiero pacifico, che chiede agli altri di aderire non ad una ideologia violenta, ma ad una rivoluzione interiore che faccia di essi uomini liberi da se stessi e pronti al regno della solidarietà, della condivisione, del servizio. Gesù è un messia che non viene con le armi del conquistatore, ma con una offerta di vita nuova per tutti

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