Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.
Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.
Le conseguenze furono molteplici e non tutte positive, sia dal punto di vista teologico, sia per quelle politiche. Già la proclamazione del dogma nel 1854 aveva allontanato alcune confessioni cristiane dalla chiesa di Roma.
Il dogma, voluto fortemente da papa Pio IX su prevalente ispirazione dei Gesuiti suscitò le proteste degli ambienti laici del tempo e anche di una parte di quelli religiosi. Benché fortemente avversato dalla curia romana, esisteva infatti un cattolicesimo liberale, tanto che una significativa minoranza dei padri del Concilio (prevalentemente francesi e tedeschi) preferì abbandonare Roma per non dare voto contrario al momento dell’approvazione, pur non sottraendosi all’accettazione del medesimo una volta approvato. Invece una piccola parte di vescovi dell’Europa centrale fuoriuscì dalla Chiesa di Roma dando vita allo scisma vetero cattolico, basato sul rifiuto del dogma dell’infallibilità. Già nel 1855 dopo la proclamazione della Immacolata Concezione, il Re Vittorio Emanuele II e i liberali cattolici vennero scomunicati, così che le conseguenze politiche della questione si allargarono fino al famoso NON EXPEDIT cioè non conviene ai cattolici partecipare alle elezioni politiche del 1868, e alla presa di Roma nel 1870, in cui decadeva il potere temporale dei papi, con Pio IX che si dichiarò prigioniero dello stato italiano. L’anno della liberazione di Roma, e della caduta del potere temporale dei papi, interruppe il Concilio ma non le sue conseguenze. Anzi si aggravò una situazione politica quasi insostenibile per il nascente stato italiano, con una questione romana sempre aperta che fu sanata con Mussolini un cinquantennio dopo. Ma l’infallibilità del papa continua a far discutere e a dilaniare le coscienze dei cattolici. Specie di coloro che la vedono con occhio critico e vorrebbero una chiesa aperta anche alla base, sinodale sul modello di quelle nord europee, e non accentratrici con una curia che nel bene e nel male ha un forte potere di pressione sul pontefice in carica.
Da parte nostra, credenti poco obbedienti, il dogma in questione assieme a quello della immacolata concezione poco o nulla conta ai fini della nostra ricerca di una fede che cerca di vivere evangelicamente la missione di Gesù affidata ai suoi successori: non il potere di perdonare i peccati, come dice certa chiesa, ma la responsabilità di accogliere o meno nella comunità dei credenti coloro che chiedono di entrarvi a farne parte. Una responsabilità che è di tutti, e non potere di alcuni