I MILLE NOMI DEL SIGNORE

ALBERTO MAGGI OSM

“Dio e la gallina. I titoli di Gesù”
I MILLE NOMI DEL SIGNORE
Principali brani commentati:

• Lc 4, 16-30 (Gesù nella sinagoga di Nazareth)
• Gv 10, 11-16 (il Buon Pastore)
• Mc 2, 14-17 (chiamata dei peccatori)
• Mc 2, 18-22 (la questione del digiuno)
• Mc 20, 17-28 (3° predizione della passione; la madre dei figli di Zebedeo)
• Mt 21, 1-14 (ingresso in Gerusalemme; cacciata dal tempio)
• Gv 1, 29-34 (l’Agnello di Dio)
• Mt 23,37 (lamento per Gerusalemme)

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse: «i capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi spadroneggiano su di esse. Non così dovrà essere tra voi. Ma colui che vorrà diventare grande tra voi sarà vostro servitore. E chiunque vorrà essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo»”. Gesù non ha una grande immagine dei capi. I capi sono quelli che dominano e spadroneggiano. Il tra voi verrà ripetuto tre volte. All’interno della comunità fondata da Gesù non vanno imitate le strutture esistenti nella società civile, dove c’è chi domina e chi viene dominato, chi è padrone e chi è servo, dove l’ambizione è il motore per arrivare sempre più in alto. Se avete desiderio di grandezza sappiate che la vera grandezza non significa salire più degli altri, essere più degli altri, ma liberamente e interamente per amore (il termine greco che adopera l’evangelista è diakonos che tutti conoscono) si faccia servitore. Diacono si traduce con servitore.
L’altro termine sarebbe servo (doulos): il servo è obbligato a servire perché ha un padrone; il servitore è colui che non ha padrone ma liberamente e volontariamente per amore si mette al servizio degli altri. Gesù dice: Avete desideri di grandezza? La vera grandezza non consiste nel dominare ma nel servire gli altri. Gesù non esclude che nella comunità ci sia un primo. Primo significa il più vicino a Gesù. La richiesta della madre dei figli di Zebedeo è di far sì che siano i primi. Gesù non esclude questa possibilità, purché ci si metta al servizio degli altri. Inoltre va sottolineata una differenza: se per l’interno della comunità ha parlato di servitore, ora per l’esterno della comunità adopera l’espressione servo degli altri. Gesù non esclude che ci siano persone che sono più vicine a lui, ma la vicinanza si determina non dal potere che hanno, non dal dominio o dai titoli che hanno o dalle insegne religiose ma dalla capacità volontariamente e liberamente assunta di servire gli altri per amore. Ed ecco la formulazione stupenda con la quale Gesù cambia l’immagine di Dio e chiarifica l’azione di questo Figlio dell’uomo attribuendosi continuamente questo titolo. …come il Figlio dell’uomo (l’uomo che ha la condizione divina, che agisce e si comporta come Dio) che non è venuto per essere servito ma per servire, dando la sua vita in riscatto per molti. Gesù mette la parola fine su tutta una tipologia religiosa nella quale Dio aveva creato gli uomini per essere servito. Nei catechismi delle generazioni passate si insegnava che Dio era sì il creatore, ma aveva creato l’umanità per essere servito. Un egoismo spaventoso e tremendo. Dio crea l’umanità perché l’umanità si metta a suo servizio. E’ l’immagine della Religione. Nella religione gli uomini sono a servizio di Dio e devono offrire a Dio. Con Gesù tutto questo è finito. Se soltanto riusciamo a capire, e le parole di Gesù sono vere e veritiere, questa importante affermazione la vita cambia. Non sono gli uomini a servire Dio, ma è Dio che serve gli uomini. Ma che potenzialità acquista la nostra vita se ci rendiamo conto che Dio è a nostro servizio, che Dio potenzia la nostra vita, Lui, il Signore che si mette a nostro servizio perché anche noi diventiamo signori? Non c’è situazione nella nostra esistenza in cui il Signore non sia a nostro servizio. Con questo Gesù annulla il culto inteso come offerta e servizio a Dio. Perché il Dio di Gesù non è un padrone (nel rapporto col padrone è il servo che offre al padrone) ma è un padre ed è il Padre che offre al figlio tutto quello che gli consente di crescere e di arrivare al suo stesso livello.
E l’attività, la funzione di Gesù quale Figlio dell’uomo è di dare la sua vita in riscatto.
Con questa espressione Gesù si rifa alla giurisdizione ebraica in termini di riscatto: quando un individuo, in guerra, veniva catturato e venduto come schiavo, o, a causa dei debiti, veniva ridotto in schiavitù, il parente più prossimo (fratello, zio, ecc…) era obbligato a pagare la somma del riscatto per liberarlo dalla schiavitù. Questa immagine era stata proiettata in Dio. Era Dio che aveva liberato il suo popolo dalla schiavitù egiziana. Ebbene l’azione di Gesù, il Figlio dell’uomo, è di mettersi al servizio e dare la sua vita in riscatto, pagando un prezzo, dando addirittura la sua stessa vita per liberare gli uomini dalla schiavitù. Da qui deriva poi l’espressione Redentore, Liberatore, Salvatore. Ma da quale schiavitù? Liberati, salvati, redenti da che cosa? Per comprenderlo dobbiamo vedere l’evoluzione della teologia e andare da Paolo, l’ex Saulo, il fariseo fanatico della legge, l’osservante di tutti i precetti in maniera pignola. Una volta che ha conosciuto Gesù, ha cambiato radicalmente arrivando a scrivere, nella lettera ai Galati quello che agli occhi di ogni ebreo, suonava e suona come una bestemmia: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge (Gal 3,13). E’ tremendo: un ebreo, un fariseo afferma che, quello che veniva considerato il dono divino per eccellenza, la legge, che doveva garantire i rapporti tra Dio e l’umanità, è una maledizione. Se la legge è maledizione non può provenire da Dio, perché da Dio provengono solo benedizioni. Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi. Ci ha riscattato finendo sulla croce con una morte che la Bibbia stessa definiva la morte dei maledetti, come sta scritto: maledetto chi è appeso al legno. Questo riscatto a opera di Gesù permette la realizzazione del progetto di Dio sull’umanità. Il progetto di Dio non può essere realizzato fino a che esiste la legge come strumento per regolare il rapporto tra Dio e l’uomo. E’ la legge che ha inventato il peccato per inculcare nelle persone il dominio, il senso di colpa e di indegnità. Come si poteva scoprire l’amore di Dio se continuamente ci si sentiva in colpa, indegni, in peccato? E allora Paolo dice: è questa la maledizione. Non si intende minimizzare il senso del peccato. Qui si intende il peccato come trasgressione a una regola, il peccato come espressione normale della vita che però agli occhi del Signore sono sgraditi. Quando Gesù parlerà del peccato, non minimizza il peccato, ma lo riporta nel suo giusto campo. Il peccato per Gesù non riguarda gli atteggiamenti che l’uomo ha nei confronti di Dio, non riguarda la trasgressione di un comandamento o di una regola, ma consiste in un atteggiamento malvagio con il quale danneggi l’altro. Nell’elenco che Gesù fa di dodici atteggiamenti che sono peccato (Mc 7,22), che cioè rendono l’uomo impuro, nessuno riguarda Dio, il culto o la parte religiosa in genere. Tutto riguarda il male che concretamente si fa agli altri. Allora Paolo dice: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge. Quella che veniva considerata un dono di Dio era una maledizione perché la legge ci impediva di scoprire il progetto di Dio sull’umanità: Quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge perché ricevessimo l’adozione a Figli (Gal 4,5).

L'immagine può contenere: 1 persona, testo
/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.