Esame, sempre sotto esame

Tempo di esami di maturità, tempo di conclusione di un ciclo della vita, l’adolescenza che si conclude con la maturità che apre alla giovinezza e ai probabili impegni di lavoro o universitari.              Quarantuno anni fa li sostenni io…                                                                                                            Giovane liceale, tutt’altro che di belle speranze, un futuro universitario appianato programmaticamente con una decisione presa con ampio margine temporale, con buone prospettive economiche e con adeguata forma mentis culturale maturata dalle elementari fino al liceo. Non il classico secchione, per carità, certe materie so ben io la fatica che facevo, ma quando si trattava di andare sull’italiano, la storia e la filosofia, era musica per le orecchie dei miei professori, e per me.      D’altronde se uno già da tempo ha deciso che deve fare medicina, non si può essere diversamente idonei a quella facoltà. O te la senti di affrontare mattoni e mattoni di libri in materie e ore passate sopra quelli, oppure vai a fare ben altro. Non potevo certo deludere le aspettative a casa, se già dalla più tenera età il mio fratello minore mi appellava “lu dutturi”. Come sarei potuto sfuggire alla gogna dei suoi sfottò se per caso avessi fallito? Mai e poi mai, era una questione di orgoglio ormai. Quel venerdi 1  luglio, 1977, uno studente abbastanza timoroso, insonnolito, more solito, con il carico del vocabolario di italiano e di 3 biro nere, scalava l’Everest di Borgalino, centro storico di Canicatti, ( e chi è del posto sa a cosa mi riferisco) per mettere piede in quel tetro e massiccio edificio architettonicamente e austeramente fascista, per affrontare il tema di italiano. Lo stress era nel titolo. Cosa sarebbe uscito? Io mettevo tra le preferenze l’attualità; era tempo di scandali politici enormi. Poi la letteratura in seconda battuta: Dante, Manzoni… chissà Poi la storia: blocchi Est-Ovest, Guerra fredda…Niente! di 4 temi tutti complicati, scelgo quello attuale e politico: La Costituzione simbolo vivo di democrazia e libertà.                                                                                                                             Abbiamo 6 ore di tempo. Sciolgo la tensione che mi aveva preso la bocca dello stomaco, come sempre mi accade ancora adesso quando per scrollarmela ho bisogno di alzare il tono della voce, spesso incontrollabile. Apro il vocabolario alla voce Costituzione. Una delizia, una frescura per la mente che comincia a macinare concetti e idee da mettere su carta. Metto sul frontespizio della brutta copia la definizione tratta dal vocabolario, che mi prende mezza pagina, e vado ad elaborare su quella. Poi esamino tre o quattro articoli secondo me fondamentali della Costituzione, li approfondisco, e riempio le classiche 4 facciate dei fogli di protocollo. Quando dopo una ventina di giorni mi presentai per l’orale, ricevetti i complimenti della commissione, e devo dire che non era la prima volta che un mio elaborato venisse riconosciuto meritevole. Già ero titolare di borsa di studio per un tema favoloso, disse il prof allora in 5 ginnasio, e poi altri durante gli anni in classe come compiti mensili. Insomma, la commissione e la prof di lettere e filosofia non riscontrarono nessuna correzione da fare sia grammaticale che nel contenuto. Tranne una. La professoressa di italiano, bella donna, mi chiede sorniona: se tu dovessi fregartene di una ragazza quale parola useresti, quale verbo? Naturalmente la prima che mi venne in mente fu ” mi ni futtu”, ma non la dissi ad alta voce per fortuna. Riflettei abbastanza a lungo con un paio di tentativi a vuoto, poi dissi come Archimede nella vasca: me ne infischierei! Bravo, disse la prof, e come lo scrivi? Eh, così: infischiare,  e lo scrissi. Quindi lei aprì il tema, e mi disse: se tu te ne invischi come nel tema, sono guai grossi. Se te ne infischi, allora la passi liscia. Avevo visto l’erroraccio segnato in doppio blu: avevo scritto “politici che se ne invischiano dei diritti dei cittadini”.  Naturalmente era errore ortografico, ma si sa che in un candido lenzuolo la più piccola macchia risalterebbe al massimo. Così fu nel mio tema. Tutto splendido, tutto corretto, tranne quell’invischiare. Un probabile dieci che diventava nove, non mi lamentai sicuramente, valsero a consolarmi i complimenti della commissione. Ce ne stava uno del partito socialista di allora, e mi disse se io militavo in qualche partito. No, ma sono di sinistra, risposi fiero. E il presidente mi vaticinò una brillante carriera politica, perché c’era bisogno di giovani preparati come me. Non l’avesse mai detto! Non sono mai stato manco consigliere di condominio, ma il complimento me lo porto dentro tra le cose incompiute della mia vita, che come tela di Fontana, mostra accanto alla bellezza dell’opera d’arte gli squarci e le incompiutezze  prodotti dalla vita.

 

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.