Armonizziamo il molteplice

L’Armonia del molteplice

Arturo Paoli

Tempo di crisi il nostro e prima di accettarlo mi sono chiesto se sono sicuro di dare troppo spazio alla tendenza naturale degli anziani di trovare bello, o per lo meno migliore, il tempo passato. Allora mi sono deciso di cominciare dalle morti segnalate da pensatori seri e capaci di analisi molto profonde. E comincio dalla morte della filosofia denunziata da Emmanuel Lévinas, un filosofo di mia scelta, e la convinzione assoluta di questa morte gli ha permesso di ripensare il nuovo Testamento e tutto il racconto della vita e della morte di Gesù in maniera completamente differente. Era evidente che a un ebreo molestasse molto il dogma della Trinità perché è noto a tutti come la religione ebraica abbia come tema centrale il monoteismo, un solo Dio.

Il senso dei sacramenti

Vorrei pensare ai sacramenti che costituiscono il contenuto della pratica religiosa di noi cristiani. E comincio dal tema centrale cioè l’eucarestia che è per noi il mezzo di metterci a contatto diretto con il Cristo. Nella preparazione dei bambini e dei non più bambini si insiste molto sulla presenza reale: Gesù vivo e vero presente. Si può impegnare una intelligenza in via di sviluppo o viva e sviluppata nel chiedersi come è possibile che un pezzettino di pane contenga Gesù vivo e vero proprio Lui in persona? Oggi che abbiamo aperta la statistica di quante tonnellate di pane si ammassano nei cassonetti dei rifiuti, evidentemente questo pane naturale non appare più in quella disposizione a farsi corpo di Cristo.

Il mistero non si illumina e non si chiarisce con l’assurdo, il simbolismo non è certamente una verità aperta e semplice ma si possono trovare delle forme per insegnare o parlare del simbolo corpo di Cristo.

Subito dopo la fine del Concilio, o forse nel suo pieno svolgimento, fui invitato da un piccolo gruppo di amici sacerdoti in una delle brevi vacanze dalla mia missione americana. Questi amici mi parlavano con entusiasmo della semplificazione del la dottrina sull’eucarestia. Eravamo in una casa di suore e i miei colleghi parlavano con entusiasmo di queste novità. Verso l’ora del pranzo si stese una tovaglia bianca, si mise qualche bottiglia di vino e si cominciò a leggere il racconto dell’ultimo banchetto di Gesù con i suoi discepoli. Devo confessare che la forma troppo vicina ai nostri pranzi amichevoli mi disorientò abbastanza. Ne uscii disorientato e sconvolto, poi leggendo gli atti del Concilio e sapendo che i miei amici celebravano rispettando il rito imposto dallo stesso Concilio, approvato dalla Chiesa cattolica, mi parve non solo accettabile ma addirittura un grande passo avanti.

L’identificazione dell’eucarestia come sacrificio di espiazione dei nostri peccati, era superato da un senso più profondo e molto più umano. Il pane legato alla terra e al lavoro dell’uomo mi parve come il simbolo del Signore che apre le sue mani a noi per riempirci del dono dell’amore, rappresentato dall’alimento basico della vita. Questo rovesciamento di un sacramento nato sulla morte crudele della croce di Cristo, metteva nella vera luce l’eucarestia come dono, come offerta a noi per cambiare radicalmente il nostro progetto di vita essenzialmente egoistico in una partecipazione al progetto di Cristo vivente fra noi per amorizzare il mondo. Questa visione fece nascere in me la scelta della fraternità che vedevo centralizzata sulla visione di Cristo «modello unico».E quindi l’intimità che realizza con noi attraverso il mistero eucaristico non aveva lo scopo fondamentale di perdonare i nostri peccati, ma soprattutto di trasformare il progetto della nostra vita come collaborazione alla scelta di Gesù di amorizzare il creato.

Il lavoro dell’uomo, specialmente il lavoro diretto a coltivare la terra, ricevendo questo dono che discende dal Padre, dava importanza, nobiltà e fecondità alle fatiche dell’uomo.

Esistono ancora dei celebranti che ritornando sul passato vogliono dare le spalle ai fedeli e offrire il corpo di Cristo come sacrificio che cancella i peccati. Il credente non si sente coinvolto nel vero progetto di Cristo e concepisce la terra come proprietà indiscutibilmente alle dipendenze dell’uomo. Quindi nonostante tutte le nostre meditazioni e nonostante che nella liturgia esprimiamo con chiarezza le parole che il pane è il dono di Dio benedetto, è il Signore che apre le sue mani e riempie di benedizioni del dono dell’amore, la terra e tutto quello che è frutto del lavoro dell’uomo resta completamente estraneo al senso vero dell’esistenza. Quello di camminare verso una conoscenza sempre più profonda e più vera dei beni che Dio ha calato nelle nostre mani per farci sentire fratelli e figli di un solo Padre.

L’appropriazione dei beni della terra

Sembra che il progresso umano non cammini verso questa legge che è la vera legge dell’umanità, ma verso una appropriazione dei beni della terra sempre più selvaggia ed egoistica. Così la messa domenicale è spesso osservata per il dubbio che ci sia una immortalità dell’anima e il sacrificio di Cristo pagherebbe per noi le nostre colpe e ci procurerebbe quella lacrimetta finale che ci apre le porte di un’immortalità felice anche se ci sarebbe un intermezzo di sofferente attesa. Questa è la religione che noi predichiamo e pratichiamo.

Non sarebbe la croce un dono totale di sé per mettere nell’umanità intera questo dono altruista che cambierebbe la società in una solidarietà fraterna dove non esistono più gli esclusi e i rapinatori dei beni. Gesù non poteva scegliere un elemento migliore per assicurarci di essere fra noi non come una vittima di espiazione ma come modello di una vita che può avere un solo senso con tutte le varianti di individualità e razze, quello di scoprire la realtà vera dell’esistenza umana. Del resto la Bibbia ci dice che il pane e il vino sono per la gioia degli uomini, allegria del cuore e gioia dell’anima (Sir 3 1,27-28).

Nell’ultima cena con i suoi apostoli egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a Te, o Padre, come agnello senza macchia, lode perfetta e sacrificio perfetto a te gradito. In questo grande mistero nutri e santifichi i tuoi fedeli perché una sola fede e una sola carità illumini e riunisca l’umanità su tutta la terra (preghiera eucaristica 4).

Pochi cristiani sanno che nel gennaio 1982 centoventi teologi protestanti, ortodossi, cattolici si riunirono e insieme produssero un documento che potrebbe essere ripreso oggi. L’evento avvenne in Lima, capitale del Perù. L’aria che vibra del rumore delle macchine oggi non pare lasciare molto spazio per alimentare le nostre speranze e farci sentire come batterebbe di entusiasmo il nostro cuore se ci si sentisse ammessi ad amorizzare il mondo. Speriamo che in questo dominio unico del capitale che ci fa feroci, prima di distruggere quel resto di umano che c’è in noi, possa aprirsi uno spazio di rinnovamento religioso. Il che vuoi dire ritrovare l’armonia del molteplice. E tutte le istituzioni compresa la Chiesa, se esclude il cristianesimo dalla scelta basica di amorizzare il mondo, non può essere che un fattore di dissoluzione anche se pretende di segnare un progresso del tempo.

L’antiprogetto

Forse il bene e il male non sono stati mai così differenziati come oggi. In fondo il progetto di amorizzare è chiaro, e l’antiprogetto nel silenzio dei partiti politici si è finalizzato a mettere le mani sul capitale.

La morte della filosofia, secondo l’autore nominato, ha come causa diretta l’accorgersi del volto che porta i segni dell’offeso e danneggiato dai progetti puramente tecnici. Il cristianesimo autentico predica l’umiltà e la povertà che non vuol dire mancare del necessario, ma vuoi dire accettazione del limite per la ricerca dei veri valori che fanno le persone protagoniste del progetto di amorizzare il mondo.

 Bisogna non continuare a interpretare la passione e la morte di Gesù nella prospettiva di ottenere dal Padre il perdono dei peccati. Gesù è resuscitato e parla di sé come della stagione della vendemmia: io sono la vite, voi siete i tralci.

Gli eventi del tempo ci rimandano a insistere sulla presenza di questa qualità di vita che ci trasmette il Cristo resuscitato.

La Chiesa continua a mantenere il senso della croce cercando di scoprire il senso glorioso della vittoria e della continuità nel tempo. Ma è ancora un pensiero che non dà i suoi frutti come dovrebbe dare. Non sono certamente la maggioranza i cristiani che vivono una vita piena avendone trovato il senso vero. Forse vale l’opinione di chi pensa che l’estremo male possa sboccare in un bene nuovo.

E questo bene nuovo è trovare il senso vero del Verbo incarnato venuto sulla terra per darci il senso vero della croce.

 L’ebreo Lévinas l’ha capito profondamente facendosi discepolo docile di Isaia; l’idea del perdono dei nostri peccati frutto di questa passione è parziale, e quindi finisce per essere negativa per noi.

Vorrei che le nuove generazioni non aspettassero come i loro padri e i loro nonni di esalare l’ultimo respiro per ottenere la felicità eterna.

Il Cristo è venuto per invitarvi cari giovani, voi non dovete pensare alla morte ma alla vita che ha senso solo se guidata e orientata dall’amore; ma l’amore vero, pensato come solidarietà, pensato come gioia di aiutare i coetanei a scoprire il senso vero dell’esistenza.

Arturo Paoli (in Rocca, n. 14, luglio 2012)

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.