A PARTIRE DALL’ORDINE di VITO MANCUSO


Paradiso viene dal persiano pairidaeza che significa giardino. È il modo più comune con cui gli uomini hanno pensato il luogo che ospiterà la vita dei giusti per l’eternità, un ritorno nel grembo della natura madre finalmente del tutto benevola, senza più nulla che la faccia considerare matrigna. Oggi, però in teologia si ama parlare del Paradiso dicendo che è piuttosto uno stato, non un luogo: il Paradiso non è un luogo in senso fisico, ma una condizione dell’anima, e anzi in nessun modo questo cielo deve essere immaginato come un luogo.
Il Catechismo ha fatto propria questa impostazione affermando che “per cielo si intende lo stato di felicità suprema e definitiva” (Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio, articolo 209, corsivo mio). Si tratta di una distinzione vera e utile, solo che poi occorre spiegare dove si trovano adesso, se non si trovano in un luogo, il corpo umano risorto di Cristo e quello assunto in cielo di sua madre. E occorre anche spiegare dove si troveranno in futuro i corpi dei beati, quando in seguito alla resurrezione della carne riacquisteranno la loro dimensione materiale. Se si intende mantenere ancora le affermazioni sulla risurrezione corporea di Cristo, sull’assunzione di sua madre in cielo in anima e corpo, sulla risurrezione futura della carne, è inevitabile parlare del Paradiso non solo come stato ma anche come luogo. Se non proprio di un pavimento dove poggiare i piedi, questi corpi di cui si sostiene la consistenza materiale hanno comunque bisogno di uno spazio fisico dove stare, o mi sbaglio?
Alla domanda dove sia questo luogo, e come sia possibile che un luogo fisico possa sussistere nella dimensione dell’eternità che non conosce tempo e quindi non conosce spazio, la coscienza religiosa tradizionale risponde facendo appello all’onnipotenza divina. Dice che nessun uomo può comprendere come ciò possa avvenire, ma colui che ha fatto il mondo e la vita sarà certamente in grado di rifare sia il mondo sia la vita. Ragionamento corretto, ma che ha il difetto di essere poco concreto e di fondarsi solo su un appello al mistero, perché a dire il vero neppure di colui che ha fatto il mondo la nostra coscienza ha consapevolezza. È vero che de potentia Dei absoluta, come amavano dire gli scolastici, possono avvenire le cose più incredibili e quindi può anche risultare possibile la vita futura in questo giardino di cui si dice che vi scorrono latte e miele, vi sono freschi ruscelletti, si beve vino novello, qualcuno mangia i tortellini, gli agnelli se ne stanno tranquilli accanto ai leoni, i bambini mettono le mani nelle buche dei serpenti senza pericolo, e insomma la vita anche per i genitori scorre così tranquilla che uno neanche se ne accorge. Ma questa potentia Dei absoluta noi non la conosciamo, non l’abbiamo mai vista all’opera, non sappiamo neppure se c’è. Ciò che conosciamo è la potentia Dei ordinata, come dicevano sempre gli scolastici, questa sì che la vediamo ogni giorno all’opera nella complessità incredibile che è la vita, la vita intelligente scaturita dall’ordine cosmico che ha dato e continua a dare forma all’energia. L’appello alla potentia Dei absoluta per fondare l’idea del Paradiso non rappresenta un argomento consistente per il pensiero. E poi, anche ammettendo che la potenza divina all’origine del mondo possa ricreare il mondo a piacimento, si deve tener presente che la creazione è avvenuta, anzi avviene, mediante un processo lungo 13 ,7 miliardi di anni e quindi è doveroso ritenere che la ri-creazione debba durare un lasso di tempo altrettanto lungo. Il che equivale a dire che il Paradiso ora non c’è, ma ci sarà in un giorno futuro. La dottrina cristiana, però, quando parla del Paradiso, sostiene una cosa diversa, sostiene che il Paradiso è eterno, c’è ora, c’è stato prima e ci sarà sempre, ed è la dimensione immutabile della divinità. In tale dimensione è presente il corpo umano risorto del Cristo e, aggiunge la fede cattolica, anche quello di sua madre, e poi le anime di migliaia di santi e di milioni di defunti, compresi i nostri cari, che ricordiamo ogni giorno con affetto inestirpabile. Questo significa che occorre rigorosamente distinguere: una cosa è il Paradiso quale giardino escatologico che verrà (se verrà), un’altra cosa è quella dimensione dell’essere nella quale già ora le anime dei giusti vivono beate. E mentre il giardino si può rimandare alla potentia Dei absoluta, la peculiare dimensione dell’essere che è l’eternità occorre che risulti pensabile ora de potentia Dei ordinata., cioè sulla base dell’ordine che configura questo mondo così come attualmente è.
Nel capitolo sull’immortalità dell’anima io ho sostenuto la razionalità dell’ipotesi di una quinta discontinuità nel cammino dell’essere verso un grado sempre maggiore di ordine e di informazione, dopo le quattro discontinuità di cui abbiamo attestazione. Il lavoro del cosmo, che a partire dagli informi gas primordiali giunge alla vita intelligente e alla vita morale, è ragionevole pensare che prosegua, e che lo faccia nella stessa direzione di incremento dell’organizzazione mediante la comparsa di una forma di vita qualitativamente superiore, di cui la coscienza umana fin dai primordi ha intuito l’esistenza chiamandola divina, e che si può pensare come sussistenza dell’energia personalizzata a prescindere dalla materia da cui è scaturita.
Ora, però, la domanda è: che cosa succede a un uomo giusto quando muore? Si tratta di prendere razionalmente sul serio l’ipotesi dell’immortalità dell’anima e di andarvi a fondo. E quindi: che cosa succede a un uomo giusto quando muore?
Succede che la sua vita fisica termina, la sua vita spirituale no. Mentre tutto ciò che è legato alla sola dimensione fisica viene meno, ciò che da fisico ha saputo raggiungere l’autentica dimensione spirituale permane. Se in un uomo che muore non c’è nulla di autenticamente spirituale, nulla potrà rimanere di lui. Se in un uomo che muore esiste un’autentica dimensione spirituale (e non c’è nulla di più spirituale della giustizia, nel senso forte, morale e prima ancora ontologico, di ordine) questa dimensione proseguirà la sua esistenza. Dove? Esattamente nella medesima dimensione dell’essere in cui già si trova, lo spirito. Occorre saper pensare l’essere come spirito per pensare adeguatamente il Paradiso. Ma come si pensa lo spirito? (Mancuso, L’anima e il suo destino).

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Pubblicato da Gioacchino La Greca

Sono nato il 27 novembre 1958, in un piccolo centro della provincia di Agrigento, la terra cara agli dei immortali che Pindaro descrisse come coloro che vivevano giorno per giorno come se dovessero morire l'indomani e costruivano come se dovessero vivere in eterno. Sono un medico, esercito in una cittadina centro agricolo un tempo prosperoso famoso per il prodotto DOP UVA ITALIA, per i vini, e per il barocco. Il mio blog è la raccolta estremamente varia di ciò che penso, facoltà che mi avvalgo di usare anche a mio discapito, messo per iscritto per non disperdere nel tempo il valore del pensiero che ognuno di noi coltiva dentro e che non può andare ad annullarsi nell'eterno mistero dell'essere. Ma che abbiamo l'obbligo di passare alle generazioni future come patrimonio spirituale.